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Il Rapporto annuale dell’Istat 2025 lo dice con chiarezza: la popolazione italiana diminuisce. Certo, perché nascono sempre meno bambini e bambine, perché sono ormai troppo poche le donne in età fertile e se anche tutte decidessero di fare due o tre figli prima di invertire la curva della denatalità troppo tempo dovrebbe passare. Ma la popolazione diminuisce anche perché quel che non si arresta, anzi, è il numero di ragazzi e ragazze che lasciano il Paese. Ed è bene che Salvini e Meloni ascoltino e capiscano: troppo pochi sono coloro i quali arrivano da altri Paesi e in Italia decidono di rimanere. Altro che invasioni.
Un paese di vecchi ma non per vecchi
Partendo dal presupposto che, come ci ha insegnato Papa Francesco, nessuno è uno scarto, nemmeno quando non si è più ritenuti “produttivi”, e che dalle generazioni più antiche abbiamo davvero tutti e tutte da imparare, non si può che leggere con preoccupazione i numeri forniti dall’Istituto nazionale di statistica: “L’Italia detiene il primato nella percentuale di anziani, sfiorando un quarto della popolazione: 24,3 per cento e 24,7 rispettivamente all’inizio del 2024 e del 2025. Tra gli individui al di sopra dei 65 anni (14 milioni e 573 mila), cresce in particolare il numero di persone di 80 anni e più (4 milioni e 591 mila, quasi 50 mila in più rispetto al 2024)”. Chi pagherà le pensioni di questi anziani?
La curva decrescente
Lo scorso 1° gennaio la popolazione italiana era pari a 58 milioni 934mila unità, in lieve diminuzione (-0,6 per mille) rispetto all’anno precedente. Ma, è sempre l’Istat ad affermarlo, la diminuzione è stata contenuta solo all’apporto dato dai migranti e dai nuovi italiani; quelli che hanno dovuto aspettare ben dieci anni di permanenza sul suolo del bel Paese prima di poter chiedere la cittadinanza, ed è per ridurre a cinque anni questa permanenza che l’8 e 9 giugno occorre andare a votare, oltre che per dire il proprio Sì ai 4 quesiti sul lavoro. Mentre la riduzione è stata incentivata, oltre che dalle poche nascite, anche da una tendenza che sembra inarrestabile, quella della emigrazione.
Pochi giovani e molti scappano
Oltre un milione di italiane e italiani nel decennio dal 2014 al 2023 sono andati all’estero, di questi ben quasi 146 mila (39,7 per cento) possedevano una laurea al momento della partenza. E se ad andarsene sono stati in oltre un milione, a rientrare, sempre negli stessi 10 anni, sono stati solo 113mila persone. La riflessione di Gianluca Torelli, responsabile delle Politiche giovanili della Cgil nazionale è netta: “I giovani vanno via perché l’Italia è un Paese sempre più povero, i salari sono sempre più bassi e aumenta la precarietà. È il frutto delle politiche fallimentari di questo Governo e di leggi sbagliate fatte negli ultimi decenni, che con il referendum dell’8 e 9 giugno possiamo cancellare”.
2024 ancora peggio
Giorgia Meloni è stata eletta nell’autunno del 2022, si potrebbe dire che ciò che è accaduto nel decennio preso in considerazione dall’Istat non è sua responsabilità. Il 2024 – invece – è l’anno dell’effetto delle politiche del Governo di centrodestra: mai così brutto. Accerta l’Istat: “Le emigrazioni verso l’estero hanno registrato un marcato aumento nel 2024, raggiungendo complessivamente 191 mila unità (+20,5 per cento sul 2023). Tra queste, spiccano gli espatri dei cittadini italiani, che ammontano a 156 mila unità (+36,5 per cento)”. Tradotto: nell’anno tre dell’era Meloni, rispetto all’anno precedente, è aumentata del 36,5% l’emigrazione di italiani verso l’estero.
Dall’estero non arrivano
E se i ragazzi e le ragazze italiane vanno a cercar fortuna in altri paesi europei, il nostro Paese non attrae coetanei: nel 2024 ne sono arrivati meno del 16,4% rispetto al 2022-2023.
Conclude allora Torelli: “Non solo tanti giovani vanno via dall’Italia, ma sono pochi quelli che arrivano dagli altri Paesi: i dati ci dicono che l’Italia è tra i paesi meno attrattivi a livello europeo. Semplicemente i giovani preferiscono vivere altrove, dove si guadagna di più e il lavoro è più tutelato. Serve un cambiamento forte, che parta dal basso, che indichi alla politica una nuova direzione. I lavoratori e le lavoratrici sono da sempre una forza propulsiva dell’Italia: lo sono stati lungo tutta la nostra storia, scrivendo l’identità del nostro Paese. Con il referendum dell’8 e 9 giugno abbiamo la possibilità di rimettere in mano a chi lavora il potere di decidere il futuro”.