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Lo scorso mercoledì la Commissione europea ha proposto la legge sul clima. La norma prevede l’obiettivo vincolante di neutralità climatica nell'Unione entro il 2050 e la revisione, entro settembre di quest’anno, dell'obiettivo di riduzione delle emissioni rispetto al 1990, portandolo dall'attuale 40 al 50-55 per cento. Entro settembre 2023, e successivamente ogni cinque anni, la Commissione valuterà le misure comunitarie e nazionali e avrà la possibilità di emettere raccomandazioni nei confronti degli Stati membri la cui azione sarà considerata incoerente con la normativa.
Si tratta del primo atto legislativo che dovrebbe dare attuazione al Green Deal europeo, in particolare sul versante delle risposte alla crisi climatica, ma non è persuasivo, ambizioso e forte come dovrebbe. Ci sono diverse questioni che non ci convincono. In primo luogo i tempi. Se tutto va bene la revisione del target di riduzione delle emissioni al 2030 dovrebbe essere approvata entro settembre, sempre che i Paesi membri siano d'accordo. Per fronteggiare l'emergenza climatica alla 26esima conferenza Onu sul clima che si svolgerà a Glasgow sotto la presidenza del Regno Unito e in partnership con l'Italia, devono essere rivisti tutti gli impegni volontari di riduzione delle emissioni (NDC), perché quelli attuali sono insufficienti a garantire il rispetto dell'Accordo di Parigi. In quel contesto il ruolo dell'Unione europea sarà determinante. Per questo motivo, dodici Paesi, fra cui anche l'Italia, hanno scritto alla Commissione chiedendo di presentare quanto prima, al massimo entro giugno, i nuovi target al 2030. È evidente, infatti, che solo con un NDC europeo più coraggioso e accelerato, l'Unione potrà svolgere un rilevante ruolo guida nei negoziati, ponendosi di fronte alla Comunità internazionale come esempio da seguire e creando le condizioni affinché anche gli altri Stati aumentino le proprie ambizioni. Per realizzare questi obiettivi, però, è necessario che l'Europa concordi la revisione ben prima della COP26. A questo proposito sarà molto importante il vertice Europa-Cina del prossimo settembre.
La seconda questione riguarda l'approccio al raggiungimento della neutralità climatica al 2050. La nuova legge sul clima sposta gran parte della propria visione strategica dalla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, alle misure di cattura e neutralizzazione delle emissioni. Con questa impostazione la legge consente di mantenere in vita il vecchio sistema energetico fossile, accompagnandolo con tecniche di cattura delle emissioni, rallentando invece di velocizzare la transizione energetica verso un modello basato su efficienza energetica e 100 per cento fonti pulite e distribuite. Questo approccio non è particolarmente efficace perché basato sull'utilizzo di tecnologie attualmente non disponibili su vasta scala e che forse non lo saranno mai perché hanno un costo troppo elevato. Il rischio è quindi che non solo l'Europa non riesca a raggiungere la neutralità di carbonio ipotizzata, ma che perda anche la grande opportunità di sviluppo industriale e occupazionale che può venire investendo in ricerca e sviluppo di nuove tecnologie per l'efficienza energetica, per i sistemi di accumulo, di trasmissione e di produzione delle rinnovabili legate alla transizione.
Mancano inoltre alcuni temi che invece avremmo voluto ci fossero. Fra questi: lo scorporo degli investimenti per la mitigazione e l'adattamento al cambiamento climatico dai vincoli di bilancio; disposizioni per il progressivo superamento dei sussidi alle fonti fossili; misure precise per la giusta transizione sia a livello comunitario che nazionale; la previsione di target di riduzione delle emissioni anche per i singoli Stati, impegni di riduzione delle emissioni graduali e immediati.
Infine un'osservazione sull'adeguatezza dei target. Molte associazioni ambientaliste e anche il movimento dei Fridays for Future ritengono che il 50-55 per cento di riduzione delle emissioni al 2030, come proposto dalla Commissione europea, non sia sufficiente ad affrontare l'emergenza climatica. La Cgil sostiene la necessità di tagliare almeno del 55 per cento le emissioni al 2030 rispetto al 1990 per rispettare l'impegno dell'Accordo di Parigi per il contenimento dell'aumento globale delle temperature entro 1,5 gradi. Per la confederazione l'obiettivo è quello di un radicale cambiamento di sistema verso lo sviluppo sostenibile, che consenta di affrontare la crisi climatica, garantire una transizione equa e sostenibile per i lavoratori e le comunità coinvolte, il rispetto dei diritti umani, la giustizia sociale, la piena occupazione, l'equità intergenerazionale e di genere.
Come detto in apertura, la proposta di legge sul clima è il primo atto del Green Deal sul versante delle risposte europee alla crisi climatica. La Cgil, anche a partire da queste prime osservazioni, porterà avanti il proprio impegno, in coerenza con quanto fatto finora, per il miglioramento della norma, per il rafforzamento delle ambizioni europee e del nostro Paese e per un risultato concreto nei futuri negoziati sul clima. Fra i prossimi appuntamenti ricordiamo lo sciopero globale del 23 aprile e le giornate di Milano, dal 28 settembre al 2 ottobre, in cui il governo italiano organizzerà uno youth event con la partecipazione di 400 giovani da tutto il mondo e due giornate di pre-negoziati della COP26. In quei giorni la Cgil, con Cisl e Uil, intende programmare iniziative di approfondimento, confronto e mobilitazione della società civile coinvolgendo il movimento dei Fridays for Future e le maggiori associazioni ambientaliste.
Simona Fabiani, responsabile ambiente e territorio Cgil nazionale