La via maestra ce la indica la Costituzione. La nostra Carta è stata pensata e scritta come “un patto di amicizia e fraternità” affidato a tutto il popolo italiano affinché ne sia “custode severo e disciplinato realizzatore”. Sono le parole di Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea costituente. Ma “siamo stati all’altezza del compito? Abbiamo ripagato la fiducia riposta in noi dalla Costituzione?”. Questi i quesiti che si pone Luigi Ciotti nel libro “La speranza non è in vendita”, ai quali risponde: “a guardare il panorama attuale, è difficile rispondere positivamente”.

Eppure, la via maestra è chiaramente delineata dalla Costituzione e, almeno a parole, tutti ne sono convinti. Ma un conto è la retorica delle dichiarazioni di circostanza e un altro è l'impegno concreto a partire dal quale ognuno di noi può essere davvero custode severo e testimone quotidiano. Per questo è necessario mobilitarci, avanzare lungo una strada che solo se percorsa insieme può darci la possibilità di contribuire a costruire il bene comune.

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Pensiamo ad esempio al welfare, una istituzione che ha lo scopo di garantire a tutta la popolazione i servizi indispensabili per consentire una vita dignitosa e responsabile, all’interno delle comunità. Nessuno vorrebbe vivere in un Paese che non ha un sistema di welfare strutturato ed efficace. Perché il rischio di diventare non autosufficiente, povero o comunque svantaggiato può colpire chiunque e tutti dovremmo contribuire a costruire un sistema di protezione che si prende cura di chi da solo non ce la fa.

Eppure, proprio mentre la società mette a rischio una crescente parte della popolazione (producendo nuove forme di emarginazione e di esclusione) il welfare pubblico è sempre più stravolto. Pensiamo alle gravi debolezze culturali e politiche con le quali viene affrontato il tema della tutela della salute.

Ormai da molti anni stiamo assistendo a un lento e continuo impoverimento della sanità pubblica, spesso presentato come inevitabile conseguenza della pesante situazione dei conti pubblici, ma in realtà espressione del disimpegno di gran parte dei governi, nazionali e regionali, che hanno aderito acriticamente al progetto di ridurre il ruolo dello Stato nella tutela della salute e di consegnare le persone fragili alle logiche del mercato. E ora, dopo la pandemia, vediamo tornare uno a uno, inesorabilmente, tutti quegli argomenti a favore di politiche di austerità che credevamo fossero state spazzate via dal Covid-19.

Lo stesso avviene nelle politiche sociali, un settore impoverito prima ancora di essere strutturato, ridotto a contare su bonus, carte acquisti e remunerazioni in natura, anziché su servizi di qualità programmati dagli enti locali.

Per questo partecipiamo convintamente alla manifestazione del 7 ottobre, per ridare priorità al welfare, aumentare la dotazione di personale, riconoscere remunerazioni e condizioni di lavoro adeguate, dare valore al lavoro di cura e restituire dignità alle persone in condizioni di bisogno.

Nerina Dirindin, Rete Salute Welfare e Territorio