“Viviamo in un Paese in cui ancora oggi i diritti fondamentali non sono esigibili per tutti. Non esistono soltanto differenze tra Nord e Sud, ma anche all’interno delle stesse aree territoriali. Un esempio per tutti è quello della mobilità sanitaria, cioè le persone costrette a spostarsi lontano da casa per essere curate. Un problema che coinvolge trasversalmente tutto il Paese. Ma i temi in ballo sono tantissimi: istruzione, servizi per la prima infanzia, tutele comuni su ambiente e paesaggio, sicurezza sul lavoro, contratti”. Così Giordana Pallone, che per la Cgil si occupa di riforme e assetto istituzionale, spiega in una intervista a Rassegna Sindacale il senso della campagna nazionale che si terrà dal 21 al 24 maggio sull’autonomia differenziata: quattro giorni di presìdi, volantinaggi e dibattiti per dire che l’autonomia delle Regioni, così come immaginata dal governo, romperà il vincolo di solidarietà del Paese e aumenterà i divari esistenti.

Rassegna L’autonomia differenziata voluta da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna è uno dei tanti temi che dividono il governo. Ora pare che il provvedimento a trazione leghista sia in qualche modo rinviato a dopo le elezioni. Intanto, però, si parla solo per slogan. Ma i contenuti?

Pallone Uno degli elementi più inquietanti è la mancanza di qualsiasi testo, quindi di trasparenza, da parte del governo. Per adesso conosciamo il tenore delle richieste delle tre regioni interessate, in particolare di Veneto e Lombardia per noi irricevibili. Ma di come stia procedendo la trattativa si sa ben poco.

Rassegna Servono dei paletti, su questo la posizione della Cgil è chiara. Ma da parte del sindacato non c’è contrarietà a priori rispetto al decentramento, giusto?

Pallone Esatto. Il punto, secondo noi, non è semplicemente conservare l'esistente, ma definire un quadro unitario di riferimento che sia comune per tutti. Per dirne una, il diritto all’istruzione deve essere garantito in misura uguale: per esempio è impensabile che il tempo pieno della scuola primaria si possa fare solo in determinati territori e non in altri. 

Rassegna Prima accennavi alla mobilità sanitaria. Puoi farci qualche altro esempio dei rischi che si corrono per il diritto alla salute?

Pallone La mobilità sanitaria già ci dimostra chiaramente quanto l’autonomia possa aumentare i divari esistenti. Al resto ci pensa, purtroppo, il progressivo svuotamento di risorse che sta subendo la sanità pubblica, con una spesa pro capite che oggi in Italia è già sotto la media Ocse. Per fortuna, nonostante questo, il nostro servizio sanitario resta tra i migliori al mondo. Quel che serve sono gli investimenti, non i tagli.

Rassegna Ci saranno ripercussioni anche per l’ambiente?

Pallone C’è l’esempio del Veneto che chiede di avocare a sé alcune competenze. L’anno scorso la Corte Costituzionale ha respinto una legge regionale sull’uso delle cave perché derogava norme di tutela nazionale. Ha potuto farlo perché la competenza esclusiva è dello Stato, e la singola Regione non può dare minori garanzie. Se ci fosse stata l’autonomia differenziata, ciò non sarebbe stato possibile. Due anni fa, sempre la Corte ha bocciato un'altra legge regionale sulla valutazione dell’impatto ambientale che abbassava livelli e tutele. Insomma, ci sono dei limiti oltre i quali non si dovrebbe poter andare. Per non parlare dei contratti di lavoro: il pericolo è che si arrivi a fare dei contratti regionali per la sanità e l’istruzione.

Rassegna Quali dovrebbero essere, secondo la Cgil, i cardini di questa discussione sull’autonomia differenziata?

Pallone Innanzitutto occorre ragionare sull’assetto istituzionale nel suo insieme e sull’equilibrio tra i vari livelli, senza dimenticare che sono della partita anche gli enti locali. Il fatto è che siamo ancora nella fase attuativa della famosa riforma del Titolo V della Costituzione. E questo ci porta al secondo punto importante per noi: bisogna colmare l’assenza di alcune leggi quadro per disciplinare la legislazione concorrente. Norme che siano in grado di fissare principi nazionali comuni. E bisogna definire livelli essenziali delle prestazioni non solo in campo sanitario, ma nell’istruzione, nelle politiche sociali, nell’assistenza. Non è una cosa da poco: significherebbe rendere esigibili quei diritti in modo uniforme. Per esempio: dato che il tempo pieno è un diritto, significa che devo stabilire un numero di posti a fronte della popolazione degli alunni, quindi quanti insegnanti servono, come strutturare le mense...

Rassegna Questo però ci porta al solito ritornello dei detrattori. Ci sono le risorse per farlo?

Pallone Sgombriamo il campo dagli equivoci. Stiamo parlando di una procedura spinta dalla retorica leghista dei soldi veneti che devono andare solo ai veneti. Al di là del fatto che si andrebbe in contrasto con la progressività fiscale stabilita dalla Costituzione, non si possono mettere in discussione le regole minime di solidarietà per un Paese che si definisca tale. A chi invece sostiene che basti basarsi solo sulla spesa storica, facciamo notare che neanche così si risolvono i problemi, ma al contrario si cristallizzano le disuguaglianze esistenti, se non addirittura aumentano. Se in una città del Sud la spesa storica per un certo capitolo è zero, l’anno prossimo sarà ancora zero. È ovvio che così peggiorano le cose. Quello che bisogna fare, ripeto, è il contrario, partire cioè dai livelli essenziali non ancora fissati. Solo così potremo garantire diritti uguali in tutto il territorio nazionale.