Negli ultimi anni è accresciuta la consapevolezza delle differenze rilevanti fra generi e dell’importanza, quindi, di tener conto di questi per tutto ciò che attiene alla salute delle persone, ma non abbastanza. La legge 3 del 2018 ha previsto l’adozione del “Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere” vista la diversa incidenza delle malattie e le differenze nelle risposte alle cure, fra uomini e donne.

Parlare di donne e salute significa affrontare i temi della salute delle bambine, delle adolescenti, delle ragazze, delle donne adulte e anziane. Significa dunque parlare della salute con una particolare attenzione alle differenze di genere e ai bisogni diversi in relazione all’età, alle condizioni di vita, di lavoro, economiche, sociali, familiari, tenendo presente anche il fatto che molte donne provengono da altri Paesi del mondo. Significa pensare alle donne nelle diverse fasi della vita, con diverse condizioni e diversi bisogni (di salute, di cura, di assistenza, di malattie) e svariate tipologie di rischio, da prevenire prima ancora che curare.

Ancora oggi, però, la ricerca in campo medico e la pratica quotidiana scontano ritardi legati al genere: rispetto al tema della salute e sicurezza sul lavoro, ad esempio, registriamo spesso l’inadeguatezza dei dispositivi di protezione individuale in dotazione alle lavoratrici.

Questo perché la ricerca e la prevenzione, come la presa in carico, l’appropriatezza delle prestazioni e l’individualizzazione delle cure, scontano ancora troppe lacune e ritardi. Quando si parla di salute delle donne, una particolare attenzione deve essere dedicata alla salute riproduttiva, alla maternità e al parto, alla libertà di decidere di interrompere la gravidanza.

Sono passati 45 anni dalla legge 194 ma ancora la sua piena attuazione è un percorso a ostacoli fino a registrare vere e proprie battute d’arresto: sono ancora troppe le criticità a causa dell’elevato numero di medici obiettori che in Italia rappresentano il 64% dei ginecologi ospedalieri e il 30% dei ginecologi dei consultori, con troppe strutture nelle quali si arriva, addirittura, al 100%. Una situazione che mette in discussione il diritto alla libertà di scelta e il diritto alla salute delle donne che decidono di ricorrere all’IVG, ma anche i diritti dei medici e del personale sanitario non obiettore impegnati a dare piena applicazione a una legge dello Stato.

Così come diventa un percorso a ostacoli poter ricorrere all’aborto farmacologico, possibile nel 32% delle IVG ma con una forte differenza tra le regioni: si passa dal 55% della Liguria e il 51% dell’Emilia-Romagna, al 2% del Molise.

Una particolare attenzione andrebbe dedicata ai consultori che dovrebbero essere i luoghi privilegiati di promozione della salute delle donne, sia per la prevenzione che per l’assistenza, ma che versano purtroppo in una condizione di forte depotenziamento e progressivo svuotamento di personale anche per il cronico sottofinanziamento. Il Dm 77/2022 ha ribadito la necessità di un consultorio ogni 20 mila abitanti (10 mila nelle aree interne e rurali). Numeri ancora molto lontani dalla realtà che è di un consultorio ogni 32 mila abitanti, come risulta dall’ultima relazione dell’Istituto Superiore di Sanità. Oltre all’aspetto quantitativo, ci sono forti problemi nel garantire l’operatività, visto che nei consultori si lavora spesso in condizioni emergenziali per la mancanza di figure professionali specialistiche, a partire da ginecologi (tanto che in molti consultori non è possibile avere la certificazione per l’IVG), ostetriche, psicologi, assistenti sociali.

La salute delle donne comincia con la prevenzione, compresa quella che attiene alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro: lo scorso anno sono morte sul lavoro 120 donne e sono stati denunciati 287 mila infortuni che hanno colpito lavoratrici. Fondamentale è quindi investire nella prevenzione e nella cultura della sicurezza, come è necessario garantire diverse condizioni di vita e di lavoro delle donne, che continuano ad essere troppo precarie, obbligate al part-time, con doppi carichi di lavoro, tra il lavoro retribuito e quello di cura.

Per questi motivi esiste ancora la necessità della giornata della salute della donna, come momento per sensibilizzare le persone e soprattutto le Istituzioni, sulla improrogabile necessità di una piena e concreta pratica della medicina di genere. Ma non bastano le scontate dichiarazioni di attenzione del Ministro Schillaci, sulla salute delle donne e sull’importanza della medicina di genere, se ad esse non corrispondono scelte coerenti e concrete, a partire da un adeguato finanziamento del Sistema Sanitario Nazionale per una sanità attenta a tutti i determinanti di salute, che ponga davvero al centro la presa in carico e la personalizzazione della cura e per traguardare l’obiettivo del pieno diritto alla salute di tutte le persone, a qualsiasi genere appartengono.

Daniela Barbaresi, segretaria confederale Cgil
Lara Ghiglione, responsabile Politiche di genere della Cgil nazionale