La presidente del Consiglio Giorgia Meloni parla a tutto campo delle scelte del governo. No al Mes, no al reddito di cittadinanza. E una riflessione sul lavoro, “gli italiani vorrebbero solo quello dei loro sogni”, che per chi conosce un po' il nostro mercato del lavoro lascia abbastanza di stucco.

Nel discorso, naturalmente, non poteva mancare l’immigrazione. I migranti? Noi accogliamo chi ha i soldi per gli scafisti. Una frase detta in mezzo a tante altre. Una frase secca, definitiva, senza sfumature, senza dubbi, come di chi conosce la verità. Undici parole. E con undici parole si capovolge la realtà delle cose.

Si mistifica e si cancella l’oggettiva condizione di migliaia di profughi, evidenziata da ricerche, rapporti di decine di organizzazioni internazionali, decine di fotoreporter e organizzazioni umanitarie. La condizione raccontata dai profughi stessi, donne e uomini che spesso arrivano con ferite fisiche e psicologiche che li accompagneranno per anni.

Si sposta la responsabilità dagli scafisti, e da chi veramente li finanzia e consente loro di agire indisturbati in assenza di politiche che gestiscano il fenomeno dell’immigrazione, alle migliaia di disperati che, sfidando la morte, intraprendono viaggi che definire della disperazione è riduttivo. Si spiega così perché accogliere è sbagliato, o almeno lo è per noi, perché quelli che accoglieremmo sono quelli che finanziano i criminali e non quelli davvero “bisognosi”.

Il tema non è dei più semplici. Sul fenomeno migratorio si alimentano paure, preoccupazioni, guerre fra poveri. Giorgia Meloni questo lo sa. Questo è un messaggio che rischia di avere consenso. Ma questa della presidente del Consiglio è una frase agghiacciante.

Questa è la destra, alleata di quelli che costruiscono muri. La destra che cancella le misure di sostegno alla povertà per sostenere gli evasori, la destra che dice ‘prima gli italiani’ ma che non contrasta le disuguaglianze e non investe sul lavoro. La destra che alimenta le divisioni.

Dobbiamo reagire, contrastare queste parole e lavorare per costruire una società diversa. Dobbiamo svolgere quella funzione pedagogica che è storicamente appartenuta al sindacato, quella che ci ha sempre permesso di porci in ascolto, di confrontarci, di non rinunciare mai alla dialettica perché la solidarietà va costruita, le paure vanno affrontate.

Poi, naturalmente, dobbiamo allargare e costruire alleanze per chiedere che le politiche di accoglienza e le politiche migratorie abbiano risposte strutturali. Risposte che non possono essere affidate ai singoli Paesi, che non possono lasciare soli gli Stati di frontiera, ma che devono vedere in primo luogo un diverso atteggiamento dell’Europa.

Garantire corridoi umanitari, aumentare le quote di reinsediamento, rivedere le regole di Dublino, garantire il diritto di asilo per ragioni umanitarie e il salvataggio e il soccorso in mare. E sul sistema di accoglienza in Italia, occorre rafforzare le scelte verso i modelli di accoglienza diffusa, facilitando i processi d'inclusione, verificando l’utilizzo delle risorse e l’efficacia delle politiche attraverso il continuo monitoraggio delle stesse.

Si tratta di costruire politiche per l’immigrazione che affrontino il fenomeno per quello che è: un fenomeno strutturale, che sarà alimentato e accresciuto dagli effetti delle dinamiche geopolitiche e da politiche economiche che impoveriscono interi continenti e polarizzano le ricchezze.

Si tratta anche di cambiare la narrazione, di accompagnare all’indignazione l’impegno politico e sindacale per modificare le scelte economiche e sociali a favore di una società più giusta e più inclusiva. Si tratta di far sì che nessuno possa più dire che i profughi che arrivano non dovrebbero essere accolti perché è colpa loro se esistono gli scafisti. Perché la violenza di questa frase non dovrebbe essere permessa a nessuno, tanto meno a chi ha l’onere e l’onore di guidare un governo e rappresentare il Paese.