Si celebra oggi la Giornata nazionale in memoria delle vittime della immigrazione, giornata istituita nel 2016 per non dimenticare una delle più grandi tragedie avvenute nel Mediterraneo. Il 3 ottobre 2013 persero la vita durante la traversata 368 persone, uomini, donne, bambini. Giusi Nicolini, allora sindaca di Lampedusa, raccontò di un “tappeto di carne umana” con una immagine cruda, quasi gridata a voler risvegliare le coscienze. Il Mediterraneo come una fossa comune, di cui però non vedremo mai il contenuto.

Da quel giorno e fino alla fine del 2021, secondo i dati di Unhcr, sono stati oltre 22 mila i rifugiati morti o dispersi nel Mar Mediterraneo. Una tragedia che non ha mai avuto fine. Allo stesso tempo non passa settimana che non siamo colpiti da immagini di barche stipate, che quasi sembra impossibile possano stare a galla; da notizie di naufragi, da grida disperate di chi è giunto sulla terra ferma ma nella traversata ha perso un figlio, un genitore, o semplicemente un altro disperato come lui.

Ogni anno, solo nel Mar Mediterraneo, centinaia, migliaia di persone tentano la traversata. Oltre il 70% scappa dai paesi di origine per ragioni umanitarie, da guerre, persecuzioni, estrema povertà. La maggior parte di loro quando sale su un barcone, per un viaggio organizzato e gestito da trafficanti e organizzazioni criminali, ha già dovuto affrontare viaggi incredibili, il più delle volte è stato recluso, ha subito violenza, spesso è già scampato alla morte.

“Ma non hanno paura di morire in mare? Ma cosa partono a fare?”. Sono frasi che abbiamo sentito e forse pensato tutti, perché per chi non conosce è quasi impensabile comprendere che sia meglio quel viaggio, quel rischio. Tutto è meglio rispetto a quello che provi a lasciarti alle spalle. È probabilmente illusorio pensare che si possa fermare in breve tutto questo, ma non è illusorio auspicare che possano cambiare le scelte politiche, in Europa come in Italia, recuperando quelle basi culturali e di civiltà che dovrebbero essere a fondamento del progetto di costruzione dell’Europa stessa.

Cambiare il patto europeo su immigrazione e asilo; riconoscere il diritto alla circolazione delle persone; contrastare la tratta di esseri umani con forme di collaborazione con i paesi di origine e di transito di migranti e profughi, colpendo i trafficanti; istituire corridoi umanitari esigibili, in condizioni di sicurezza, e sostenere l’aumento delle quote di reinsediamento; garantire il diritto all’asilo e alle misure di protezione internazionale; facilitare i ricongiungimenti familiari e promuovere un sistema di sponsorizzazione per l’ingresso in Europa; garantire il salvataggio e il soccorso in mare; modificare gli accordi di Dublino e stralciare gli accordi con i paesi terzi che non garantiscono i diritti umani, a partire dalla Libia; strutturare un sistema efficace di accoglienza.

Un elenco lungo di azioni, scelte, che disegnano un modello di società. Una società accogliente e inclusiva, che non può considerare la vita di uomini e donne di valore diverso a seconda del colore della loro pelle o della loro provenienza. Una società che comprende e accetta il fenomeno delle migrazioni come un dato strutturale, che lavora per l’integrazione e per l’inclusione come premessa necessaria di una società plurietnica, mettendo al centro le persone, l’universalità dei diritti e il valore della uguaglianza.

Se questo è il nostro impegno non possiamo non guardare con preoccupazione al vento di destra che si agita in Europa, alla affermazione anche nel nostro paese di formazioni politiche che hanno agitato il tema immigrazione come un tema di sicurezza, un tema emergenziale. Forze che criminalizzano la solidarietà e promettono respingimenti, chiusure delle frontiere, chiusure dei porti come risposta al bisogno di protezione e di tutela che certamente caratterizza questo tempo storico. Troppo complesso probabilmente affrontare le crescenti disuguaglianze e l’impoverimento di ampie fasce della popolazione mettendo in discussione un modello di sviluppo che ha messo profitto e mercato mal centro delle scelte, lasciando sole le persone. Dare la colpa allo straniero è molto più semplice.

Per questo la giornata della memoria è una giornata importante. Non solo per ricordare, ma per risvegliare la nostra coscienza. Per impegnarsi nella difesa e nella pretesa di legalità, per affermare la solidarietà, per educare ed educarci alla accoglienza, al rispetto, alla uguaglianza. L’indifferenza rischia di toccare ognuno di noi. Esprimiamo indignazione e compassione, a fronte di eventi drammatici ed eclatanti, ma non consideriamo a sufficienza questi come temi per i quali vale la pena spendersi, tutti i giorni, temi su cui fare battaglia politica, tutti i giorni.

Forse una possibile risposta sta nelle parole di Jose’ Saramago, in Cecità.
- Perché siamo diventati ciechi?
- Vuoi che ti dica cosa penso ?
- Parla.
- Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono. Ciechi che, pur vedendo, non vedono.

Dedicare tempo e attenzione a questa giornata nazionale in ricordo delle vittime della immigrazione è allora un modo per recuperare la nostra vista, il nostro sguardo, la nostra umanità per battersi per un mondo più giusto.

Tania Scacchetti è segretaria confederale della Cgil