“Purtroppo lo sappiamo da tempo: ogni anno in autunno l’Italia viene colpita da fenomeni atmosferici estremi che causano danni e vittime, una conseguenza diretta dei cambiamenti climatici. E la tragedia nelle Marche non fa eccezione”. Il fisico climatologo del CNR Antonello Pasini, non ha dubbi sull’origine dell’alluvione che ha colpito in particolare la provincia di Ancona, Senigallia, Barbara, Castellone di Suasa, Ostra, Trecastelli, Bettolelle, con un bilancio provvisorio di otto morti e quattro dispersi. È un fenomeno causato dal riscaldamento globale, che nasce quando gli anticicloni africani vengono in Italia e portano un caldo enorme, come quello che abbiano patito questa estate, uno spostamento della circolazione dell’aria dall’Equatore sempre più verso Nord dovuto alle emissioni antropiche di anidride carbonica.

Questi anticicloni che prima rimanevano sul deserto del Sahara, adesso arrivano fino a noi, riscaldano il suolo, il Mediterraneo e tutti gli altri mari circostanti, lo Ionio, il Tirreno, l’Adriatico. Quando si allontanano dal nostro Paese, portano correnti di aria fresca o fredda creando un grande contrasto termico capace di scatenare fenomeni estremi, appunto: alluvioni lampo, forti temporali, grandinate, fulminazioni.  “Il mare così caldo fornisce materiale per formare le nubi, tutto il calore che entra nell’atmosfera è una forma di energia che poi si scatena sul terreno, su un territorio fragile come il nostro – prosegue Pasini -. Le valli appenniniche sono strette, alcune volte i fiumiciattoli che hanno carattere torrentizio vanno in piena trascinando con sé una sacco di roba, quello che trovano lungo la strada”.  

 La cronaca ci ha insegnato che non sono solo i territori dell’Appennino a essere fragili. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ispra, quasi il 94 per cento dei comuni italiani è a rischio dissesto e soggetto a erosione costiera e oltre 8 milioni di persone abitano in aree ad alta pericolosità, mentre nel 2021 è aumentata la superficie nazionale potenzialmente soggetta a frane e alluvioni. Su un totale di oltre 14 milioni di edifici, quelli che si trovano in zone a pericolosità da frana elevata e molto elevata superano i 565 mila (3,9 per cento), mentre poco più di 1,5 milioni (10,7 per cento) ricadono in aree inondabili nello scenario medio.

“Quello che dobbiamo fare subito è adattarci a questi fenomeni, tutelando e gestendo meglio il territorio, perché le conseguenze dei cambiamenti climatici ci sono e non diminuiranno – prosegue Pasini -. Ci vogliono ingenti risorse e a quanto mi dicono quello che è previsto dal Pnrr non è sufficiente. E poi mitigare, ridurre le emissioni di gas serra in modo da non arrivare a scenari ben peggiori a cui sarebbe ancora più difficile adattarsi. Infine, costruire una cultura del rischio. Quando arriva un’alluvione lampo, le persone hanno paura, non sanno come comportarsi, fanno scelte sbagliate, cercano riparo in luoghi in cui non dovrebbero stare. Ma la cultura del rischio è legata a quella della legalità. Le persone devono sapere che se fanno un abuso, se costruiscono in un torrente o nell’alveo di un fiume, possono perdere la loro casa e i loro beni”.