Nove studenti su dieci manifestano un forte disagio psicologico a seguito della pandemia. È quanto emerge dall’indagine “Chiedimi come sto”, condotta da Ires Emilia-Romagna e promossa da Rete degli studenti medi, Udu - Unione degli universitari e dal sindacato dei pensionati Spi Cgil. Coinvolti 30mila studenti delle scuole superiori e universitari su tutto il territorio nazionale.

Dalla ricerca, presentata oggi a Milano dalla Cgil Lombardia, emerge che il 28% degli studenti ha disturbi alimentari, il 16% dei quali innescati dalla pandemia, mentre il 14,5% ha avuto esperienze di autolesionismo, la metà in coincidenza del periodo pandemico.

La pandemia ha prodotto anche un cambiamento dei comportamenti e delle abitudini, con l’aumento dell’uso dei social (78%), dei videogiochi (30,7%) e del fumo (18%). Sono invece diminuiti gli incontri con gli amici, sia online che in presenza (48%) e la cura del proprio aspetto fisico (37%). Il 64% ha subito un cambiamento dei ritmi del sonno.

Un quarto degli studenti (26,4%) ha pensato di abbandonare gli studi durante l’emergenza sanitaria e l’esperienza della Dad. La didattica a distanza, in generale, ha prodotto diverse criticità accentuando il disagio psicologico e incidendo negativamente sulla salute mentale degli studenti. Il 60% degli intervistati teme per la propria salute mentale. Il 90% degli studenti chiede supporto psicologico a scuola o in università.

Il 73,6% ritiene che vi sia una visione sottostimata della propria generazione da parte degli adulti. Credono negli amici (85,8%) e nella famiglia (85,6%) mentre la fiducia che ripongono verso i diversi soggetti istituzionali è sotto il 50%, fatta eccezione per scuola, università e Unione europea. Tra le priorità d’intervento per il futuro della propria generazione al primo posto c’è il lavoro (56%), seguito dalla richiesta di supporto psicologico e dal tema dell’ambiente.

Alessandro Pagano, segretario generale Cgil Lombardia, commenta così il risultato dell’indagine: “Il tema del lavoro è centrale anche per i ragazzi e questo ci responsabilizza ancora di più. Abbiamo la responsabilità di curare non il sintomo, ma la radice. La Cgil ha una visione precisa della società: il lavoro è il modo con cui collettivamente contribuiamo a determinare e migliorare le condizioni in cui viviamo insieme, è fondamentale occuparsi della salute della società. Da parte nostra dobbiamo intercettare di più e meglio i luoghi di lavoro non “tradizionali”, dove il singolo si illude di potercela fare da solo, dobbiamo ampliare la discussione sul territorio che è il luogo fisico in cui si pratica il cambiamento”.

Monica Vangi, segretaria Cgil Lombardia con delega alla sanità, dichiara: “Serve un lavoro di rete che coinvolga molteplici attori: famiglie, operatori sociali, strutture sanitarie, il sindacato.  È necessario lo sviluppo di servizi che si dedichino alla cura e alla rilevazione delle condizioni di disagio prima che diventino patologie. Una percentuale molto alta di ragazze e ragazzi coraggiosamente ha riconosciuto un disagio e si è rivolta a sportelli psicologici, soprattutto privati. Serve un investimento più forte sul pubblico. Chiediamo all’assessorato al Welfare l’avvio di un confronto nel merito e ci aspettiamo un interessamento puntuale”.

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