Si sono dati appuntamento a Torino il prossimo 17 giugno per ragionare di lavoro e di dignità. Sono gli e le assistenti sociali che non hanno scelto a caso la città piemontese: “Perché nell’immaginario del Paese tiene insieme tutte le sfaccettature, le tragedie e le fortune, di questo sostantivo maschile: la forza del riscatto, dell’integrazione, delle conquiste salariali e dei diritti, delle lotte e delle sconfitte, della crescita e della recessione, dello sfruttamento e dell’insicurezza”, spiegano gli organizzatori.

Quella piemontese sarà la seconda tappa (la prima è stata a Roma il 28 aprile dedicata a povertà ed esclusione) di un viaggio organizzato dall’Ordine nazionale degli assistenti sociali che ha come meta finale gli stati generali dell’organizzazione che si terranno nel marzo del 2023 per celebrare il proprio ventesimo compleanno. Altre due tappe si terranno a Bari in ottobre, per ragionare di periferie umane e materiali, e a Firenze, nel gennaio del prossimo anno, dove si parlerà di violenza istituzionale. I temi scelti in realtà corrispondono alle contraddizioni che queste figure professionali, tanto indispensabili quanto poco conosciute e forse anche riconosciute, si trovano ad affrontare nel proprio impegno quotidiano al servizio delle istituzioni e dei cittadini. È già, perché il lavoro degli assistenti sociali è a doppio filo legato ai servizi pubblici e ai diritti di cittadinanza. Parliamo di persone concrete che tutti i giorni si confrontano con problemi e richieste a cui dare risposte. E allora nelle tre tappe di avvicinamento agli stati generali arriveranno carichi di numeri e di esperienze: “Per ogni tappa seguiamo lo stesso percorso, ascoltiamo le persone per identificare i problemi, mettiamo in fila priorità e proposte, presentiamo il tutto ai decisori politici”, sottolineano.

Ed eccoli, allora, i numeri e i problemi che allontanano il sostantivo maschile lavoro da quello femminile dignità. Li ricorda Gianmario Gazzi, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine assistenti sociali: “L’11,8% dei lavoratori italiani è povero, il 25% ha un salario basso; l’economia non osservata è l’11,3% del Pil e il lavoro sommerso vale 183 miliardi di euro, quello illegale supera i 19 miliardi; i morti sul lavoro, in Italia, nel 2021, sono stati 1.221, oltre 555 mila gli infortuni; l’85% delle specializzazioni che saranno richieste nel 2030, oggi non esistono; le donne guadagnano il 15% in meno degli uomini e i giovani under 30 il 50% in meno degli over 50; il part-time involontario è al 66%, la percentuale più alta d’Europa e il 13,3% degli assunti a tempo determinato lavora per un solo giorno”.

Questi sono i numeri, poi ci sono i problemi che questi operatori e operatrici dei servizi pubblici incontrano ogni giorno: le difficoltà dei disabili di vedere riconosciuto il proprio diritto al lavoro, oltre che a una vita dignitosa e, il più possibile, autonoma; gli ostacoli che le donne vittime di violenza trovano nel riuscire a mantenere il proprio lavoro, o i salti mortali che quanti si occupano di un familiare disabile nel fisico e nella mente devono compiere per mantenere un’occupazione. “Esultiamo anche noi – dice ancora Gazzi – per l’approvazione delle norme europee sul salario minimo, noi ci confrontiamo ogni giorno con la povertà, anche quella di chi lavora ma con un salario talmente misero da mettere a repentaglio il loro decoro, la loro sicurezza e la loro rispettabilità".

Ma a chi, aggiunge "schiavizzato dal caporale di turno, accetta di raccogliere pomodori nei campi. Alle donne vittime di violenza che non riescono a mantenere una continuità lavorativa. Alle persone disabili che, nonostante le leggi, non arrivano neanche alla soglia di un’occupazione. Alle famiglie che devono provvedere da sole all’accudimento di un congiunto gravemente malato. Ai ragazzi con un percorso formativo a ostacoli, comunque minori di quelli affrontati in tutta la loro vita… A tutti loro e poi in tutte quelle situazioni nelle quali il lavoro non rende liberi la direttiva sul salario minimo darà sollievo?”.

L’interrogativo, pur sottolineando l’importanza di questa direttiva, rimane. E allora a Torino oltre ai numeri e ai problemi, verranno offerti ai 400 partecipanti in presenza e agli oltre 2.000 da remoto priorità e proposte. Occorre sostenere corsi/scuole professionali in stretta correlazione con i bisogni del mercato del lavoro: favorire, per chi esce da un percorso di tutela un percorso di studi senza pensieri; definire forme di protezione per le donne vittime di violenza che garantiscano il mantenimento dell’occupazione. E poi occorre prevedere flessibilità oraria e alternanza ufficio/smartworking che tenga conto dell’impegno di caregiving.

Se queste sono le priorità, per trasformarle in azioni ecco le proposte degli assistenti sociali. Ritengono sia importante istituire incontri di sensibilizzazione sui luoghi di lavoro in merito ai problemi di salute mentale e di disabilità; sostenere la contrattazione collettiva per garantire il diritto al lavoro delle persone vulnerabili; progettare con le aziende per favorire modelli sociali di imprese attente alle diverse competenze; definire fondi dedicati per il sostegno all’ingresso del mondo del lavoro; infine, occorre l’ampliamento delle categorie della legge 68/99 quella che istituisce le norme per il diritto al lavoro dei disabili.

Sapranno i decisori politici ascoltare quanto chi si confronta sul campo con le difficoltà del lavoro che non c’è, di quello precario, illegale, nascosto e sfruttato offrirà alla loro riflessione? Sapranno ascoltare priorità e proposte?