Due milioni sono davvero pochi, per contribuire alla gestione delle attività nei beni confiscati alla criminalità organizzata. Ma è la cifra definita dal decreto legge 36, quello che contiene “Ulteriori misure per l’attuazione del Pnrr”. L’articolo 22, infatti, istituisce “un Fondo nello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze, per le spese di gestione dei predetti beni, da trasferire all’Agenzia per la coesione territoriale”. La decisione di dar vita a un capitolo di spesa dedicato ai beni confiscati non solo è opportuna ma è ciò che da tempo chiedono quanti si occupano di contrasto alla criminalità organizzata attraverso il riutilizzo a fini sociali dei patrimoni sequestrati e confiscati alle diverse mafie del nostro Paese. Dagli amministratori locali a cui vengono assegnati i beni, alle associazioni del terzo settore che li prendono in gestione, fino ad arrivare ai magistrati delle misure di prevenzione che spesso si trovano in difficoltà nell’individuare chi si occupi dei beni per mancanza di risorse per gestirli. Quello che non va bene è, prima di tutto, l’entità del Fondo, ma anche i criteri di utilizzo delle risorse: sono destinate solo alle regioni meridionali, ma come si sa la criminalità non ha più confini regionali e da tempo “investe” anche nelle regioni dell’Italia settentrionale.

Che fare? È partita una lettera, indirizzata alle Commissioni Affari Costituzionali e Istruzione del Senato che stanno esaminando il testo del Decreto con la richiesta di una serie di modifiche al testo. Scrivono Libera, Avviso Pubblico, Cgil-Cisl-Uil, Legambiente, Acli, Agesci, Azione cattolica, Arci, Cooperare con Libera Terra, Confcooperative, Legacoop, Rete dei numeri pari, Auser, Uisp, Acsi, Lav, Fuci, Link-Rete della conoscenza-Unione degli studenti: “Accogliendo positivamente l'istituzione del Fondo, le associazioni firmatarie ritengono necessario compiere ulteriori passi in avanti. A partire dall'aumento della sua dotazione finanziaria e dall'estensione a livello nazionale dell'ambito di competenza del Fondo, non limitandone l'applicazione soltanto ai progetti che saranno finanziati dall'avviso pubblico dell'Agenzia per la coesione territoriale, viste le numerose progettualità presentate con la specifica misura 'Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie' del Pnrr, e considerate, altresì, le centinaia di esperienze di riutilizzo sociale già esistenti o che potranno attivarsi nei prossimi mesi in tutte le regioni, promuovendo concretamente percorsi di coesione e inclusione sociale”.

Luciano Silvestri, responsabile Legalità e Sicurezza della Cgil, si augura “vivamente che il governo si svegli dal torpore che ha fino a ora manifestato sulle problematiche che riguardano il riutilizzo dei beni confiscati. Eppure, è del tutto evidente che proprio questo rappresenta uno dei temi che caratterizza la sfida cruciale fra chi si batte per la legalità e il potere mafioso. Potere che le mafie esercitano attraverso il controllo sociale ed economico del territorio. Togliere a loro i patrimoni realizzati illecitamente è importantissimo, ma reimmetterli in un circuito di lavoro legale è ancora più importante. Ne va della credibilità dello Stato e non servono le 'miserie' con le quali il decreto istituisce il fondo per sostenere la gestione, né i 300 milioni messi a bando per il loro recupero. Oltretutto - aggiunge il dirigente sindacale - queste 'misere risorse' agiscono solo al Sud, quando i sequestri e le confische sono purtroppo in crescita esponenziale nelle regioni del Centro Nord”.

Insomma, occorre evitare che i Comuni delle regioni meridionali che riusciranno a ristrutturare i beni assegnati non abbiano poi le risorse necessarie. Così come bisogna evitare lo stesso pericolo anche per quei beni che non partecipano al Pnrr. Assicurare un futuro duraturo a questo patrimonio è la precondizione per la costruzione di legalità. Dice ancora la Cgil: “C'è il pericolo, infatti, che se i progetti presentati non avranno la copertura finanziaria, si genererà nelle comunità e nella società civile un sentimento di frustrazione con il rischio di un ulteriore arretramento nella lotta alla criminalità organizzata e ai suoi interessi economici”.

Per questo è bene che il Fondo - è questa la richiesta delle associazioni firmatarie della lettera appello inviata alle senatrici e ai senatori - arrivi ai 20 milioni consentendo anche alle regioni del Nord di accedervi.