Alle 3 e 32 del 6 aprile 2009 l’Aquila e i paesi della sua provincia sono teatro di un terremoto che distrugge buona parte degli edifici, lasciando sul terreno 309 morti e più di 1600 feriti. Giustino Parisse perde due figli, Domenico e Maria Paola.

Un anno dopo, rivolgendosi a loro scriverà: “Quella notte di un anno fa, eravamo tutti in quella casa che credevamo la più bella e sicura del mondo. Ero io che ve lo avevo fatto credere e voi di papà avevate fiducia. Io ho tradito la vostra fiducia. (…) Quella notte non sono stato capace di salvarvi, mi sono arreso di fronte a una montagna di macerie, alla polvere che bloccava il respiro, all’incubo del quale non riuscivo a vedere i contorni. Mentre voi ci lasciavate, papà e mamma erano lì, in pigiama a cercare l’impossibile, a fare nulla, perché nulla c’era da fare, nemmeno piangere e gridare”.

Domenico e Maria Paola, due dei tanti - troppi - bambini addormentatisi una notte di aprile e non svegliatisi più. Alessandro e Lorenzo De Felice, hanno 2 e 3 anni. Sotto le macerie insieme a loro rimane anche il papà Antonio. Ludovica Centi ha 6 mesi, morirà insieme a tutti e due i genitori. L’elenco è incompleto, ma già così è troppo lungo. Tra i nomi delle vittime comprare anche Giorgia Giugno, la bimba che Giovanna Berardini avrebbe dovuto dare alla luce proprio il giorno del terremoto e che non nascerà mai, uccisa insieme alla sua mamma.

“Mi hanno svegliata l’urlo disperato di un uomo e pezzettini di intonaco sulla faccia - racconterà anni dopo Maria Elena - L’uomo era Mauro, stiamo insieme da venti anni, ma quella voce io non l’avevo sentita mai. Vederlo arrabbiato è una rarità, ma io ho talento. Quell’urlo però, portava la disperazione di chi con due mani sole voleva salvare moglie e figli. Ed era pure l’urlo del bambino che a otto anni sopravvisse al terremoto dell’Irpinia. C’è chi torna a L’Aquila per amore. Io non lo faccio per lo stesso motivo. Abbiamo aperto la porta senza difficoltà, ingoiato le poche scale come mezzo bicchiere d’acqua. In giardino ci siamo chiesti dove fossero i figli. Ce li avevamo in braccio, stretti da fare male. Nessuno dei due ricordava di averli presi, e nemmeno i nomi. Li avevamo portati in salvo, ma non ci ricordavamo come si chiamavano. Giuseppe aveva tre anni, tremava. Non parlava, o almeno non parlava a parole. Aveva gli occhi enormi, aperti, senza difese. Credo abbia visto cose, anche oltre la nebbia dei crolli tutta intorno a noi. Non è stato agevole negli anni, tirargliele fuori. Matteo aveva dieci mesi, e cercava il seno una posizione per continuare il sonno in braccio a me”.

“Quando muoiono i bambini la vita si ferma davvero”, dice qualcuno. Eppure vita e morte si intrecciano, dolore e speranza si mescolano tra enormi tragedie e piccoli miracoli.

Tra le persone estratte vive dalle macerie Marta Valente, 24 anni di Bisenti, studentessa di Ingegneria, salvata dopo 23 ore, Eleonora Calesini, 21 anni di Mondaino, estratta dopo 42 ore, Maria D’Antuono, 98 anni di Tempera, trovata viva dopo 30 ore, che dichiarerà di aver trascorso il tempo lavorando all’uncinetto. Il 10 aprile si svolgono i funerali di stato di 205 delle 308 vittime accertate alla Scuola Ispettori e Sovrintendenti della Guardia di Finanza a Coppito dell’Aquila alla presenza di 1.600 familiari e 5.000 persone.

Alla cerimonia partecipa il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, i presidenti di Senato e Camera dei deputati Renato Schifani e Gianfranco Fini, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il presidente della Regione Abruzzo Gianni Chiodi, alcuni membri dell’opposizione (Dario Franceschini, Piero Fassino, Rosy Bindi, Franco Marini). E’ presente il ministro dell’Interno Roberto Maroni coi sottosegretari Gianni Letta e Paolo Bonaiuti, partecipa l’ex presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Una lunga giornata fatta di abbracci, strette di mano, commozione e promesse di ricostruzione, purtroppo non sempre mantenute.

“Quando accadono queste cose - dirà Roberto Saviano - senti in qualche modo che è un dramma di tutti, senti che un terremoto non riguarda soltanto le vittime, anzi, riguarda soprattutto chi sopravvive. Da qualche parte, Gabriel Garcia Marquez dice che soltanto quando seppellisci una persona, quella terra diventa tua. Durante il terremoto dell’Aquila sono morti molti emigranti. Morendo in quella tragedia hanno come preso cittadinanza per diritto di questa terra. Ed è la storia, per esempio, di Osmai Madi, operaio macedone, che in qualche modo è il simbolo della tragedia, che è una tragedia di tutti. (…) Osmai Madi è un operaio macedone che vede crollare tutta la sua casa, salva con le sue mani la moglie e una bambina. Quando si rende conto che la sua seconda bambina non è possibile salvarla, cerca di salvare altri, i vicini, le persone che stavano affianco. Osmai salva 11 persone di 7 nazionalità diverse. (…) Quello che viene da dire però è che sembra sempre la stessa tragedia. È l’anniversario del terremoto in Irpinia, e ancora una volta sembra vedere sempre le stesse cose, ascoltare gli stessi drammi, sentire sempre la stessa disperazione vedere tangenti, ricostruzione, cose che non funzionano”.

E in una storia che sembra tristemente infinita verranno ancora le devastazioni del Molise, dell’Umbria, delle Marche, dell’Emilia Romagna. Ancora morte, crolli, distruzioni e ricostruzioni difficili. Sempre la stessa disperazione.