Un “texano” di Desenzano del Garda, che risponde al nome di Lamont Marcell Jacobs, in 9 secondi e 80 centesimi ha riscritto la storia dello sport italiano, una volta per tutte. Alla fine di queste Olimpiadi di Tokyo porterà a casa, in Italia, una medaglia d'oro nei 100 metri piani che prima di ieri nemmeno i più visionari avrebbero osato immaginare. Il telecronista della Rai grida a squarciagola: "Marcello! Marcello! Marcello!!”; le immagini di Jacobs che abbraccia Gimbo Tamberi, l'altro ragazzo d'oro, fanno il giro del mondo, e il giorno dopo, guarda caso, sui giornali italiani si torna a parlare di Ius soli. Anche se da un punto di vista esclusivamente sportivo. “Non riconoscerlo è qualcosa di aberrante, folle. Oggi va concretizzato: a 18 anni e un minuto chi ha quei requisiti deve avere la cittadinanza italiana", ha rivendicato a caldo il presidente del Coni, Giovanni Malagò.

Un attimo dopo sui media, tradizionali e non, via a discutere di nuovo di diritto di suolo, "Ius sanguinis", cittadinanza, italianità. Il primo a commentare, guarda ancora il caso, è stato Matteo Salvini: “Godiamoci le medaglie, non c'è bisogno di cambiare alcuna legge”. "Lo Ius soli è una bandierina ideologica: posso assicurare che sino a quando la Lega sarà al governo quella legge non sarà mai approvata", ha ribadito il sottosegretario dell'Interno, Nicola Molteni. Il tutto, anche se Jacobs è figlio di madre bresciana, quindi italiano per Ius sanguinis, e pure se Malagò ha tenuto subito a sottolineare che “come Coni hanno provato a tirarci per la giacchetta e noi abbiamo sempre sostenuto la tesi che si tratta di una materia politica”.

Esatto, una materia politica, che in Italia si trascina da anni. Anche se, in realtà, non se ne parla concretamente dal 2017, quando il testo depositato due anni prima venne affossato alla Camera: “Riproviamoci nella prossima legislatura”, disse l’allora ministra della Salute Beatrice Lorenzin. E si è arrivati al primo Governo Conte quello “gIalloverde”, Poi al secondo, il “giallorosso”, fino al governo tecnico guidato da Mario Draghi e sostenuto un po' da tutti, anche dalla Lega. Di legge sulla cittadinanza nemmeno l'ombra, a parte qualche dichiarazione sporadica, di principio. E così quello dello “Ius soli temperato”, un progetto di legge a dir poco moderato, è rimasto per qualche altro anno nel cassetto, ben chiuso a chiave. Oggi, però, sui giornali si riaffaccia, con una specificità: “ius soli sportivo”.

Ma di cosa si tratta con esattezza? Dell'ennesima limitazione. Oggi i minori stranieri che risiedono regolarmente sul territorio possono essere tesserati presso le federazioni sportive italiane. La legge riconosce il principio dello Ius soli sportivo dal compimento del decimo anno di età, e prevede che si applichino le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani. La stessa legge, però, non dà alcuna la possibilità agli stranieri di essere inseriti nelle selezioni nazionali, per le quali è necessario avere la cittadinanza. Inoltre non può essere applicato solo ai minori che sono entrati in Italia prima di compiere 10 anni. La ragione di questa limitazione è legata in particolare alla pratica del traffico illecito di calciatori: abbassando l’età dei giocatori si riduce anche il rischio che il trasferimento da una nazione all’altra sia dovuto a ragioni di questo tipo.

La questione riguarda migliaia di ragazzi che praticano sport nel nostro Paese. Non è un caso se la spedizione italiana di atletica leggera a Tokyo, quella che ha stupito il mondo, è composta da 76 atleti di cui 27 “oriundi”. Tutti con cittadinanza ottenuta per altre vie, però. E' un melting pot etnico, culturale e tecnico che oltre a Marcell Jacobs, annovera ragazzi come Hillary Wanderson Polanco Rijo (4×100) nato a Santo Domingo che vive a Cagliari, Eseosa Fausto Desalu (200 metri, 4×100), origini nigeriane ma nato a Casalmaggiore, oppure Vladimir Aceti (4×400, 4×400 mista) adottato da una famiglia lombarda, come il dominicano Brayan Lopez (4×400, 4×400 mista) di Vercelli e l'etiope Yemaneberhan Crippa che si vive in una famiglia milanese. Ci sono anche Paolo Dal Molin (110 ostacoli) camerunense di madre e veneto di padre, l'ivoriano Hassane Fofana (110 ostacoli) di Brescia e Ahmed Abdelwahed (3000 siepi) di origini egiziane. Poi, ancora, ai fratelli Ala e Osama Zoghlami (3000 siepi) si origini tunisini, fino ad arrivare a Raphaela Bohaeng Lukudo (4×400, 4×400 mista), Yadisleidy Pedroso (400 ostacoli), Dariya Derkach (salto triplo) e Daisy Osakue (lancio del disco).

Tutti atleti di alto livello, e tutti provenienti da lidi lontani. Eppure la vera e propria corsa ad ostacoli che oggi rappresenta l'ottenimento della cittadinanza italiana riguarda altri 800mila ragazzi e bambini, che magari non fanno sport e non eccellono in alcuna disciplina. Quindi, invece di parlare di “Ius soli sportivo”, oggi, in Italia, occorrerebbe affrontare la questione dello “Ius soli” tout court. Altrimenti, si comincia con una falsa partenza. Altro che medaglia.

E allora che se ne parli, ma per davvero, e una volta per tutte. Per diventare cittadini italiani si fa ancora riferimento a una legge che ha quasi 20 anni, tanti quanti ne hanno molti degli atleti italiani di seconda generazione che gareggiano a Tokyo sotto le insegne del tricolore. Per la 91 del 1992, un bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano, mentre un bambino nato da genitori stranieri diventa italiano al compimento dei 18 anni e se fino a quel momento ha risieduto in Italia legalmente e ininterrottamente.


Nell'antica Roma, per fare un esempio, erano cittadini romani, da Caracalla in poi, uomini e donne liberi nati nel territorio vastissimo dell’impero di Roma. Per questo, nell'anno domini 2021, verrebbe da dire che il presidente del Coni Malagò, dopo una giornata storica come quella del primo agosto, avrebbe fatto meglio a sfruttare la visibilità di una medaglia d'oro straordinaria, di foto e video che campeggiano ancora sui giornali e sui siti del globo intero, e delle dichiarazioni di un mezzo texano che si sente al 100% di Brescia, per dire che davvero “aberrante” è non riconoscere lo Ius soli. Punto. Jacobs è italiano per sangue, ma come lui lo sono anche tutti quei ragazzi che nascono e crescono in Italia da entrambi i genitori stranieri. Lo sport, in questo caso, c'entra davvero poco.