Il 24 giugno del 1911 nasceva a Torino Giancarlo PajettaNato in una famiglia benestante, Giancarlo si iscrive al Partito Comunista d’Italia quando ancora frequenta il liceo classico Massimo D’Azeglio. Per questo, ancora minorenne, nel 1927 viene espulso per tre anni da tutte le scuole del Regno e condannato a due anni di reclusione. Nel 1931, a vent’anni, parte per la Francia e con lo pseudonimo di Nullo diventa segretario della Fgci, direttore di Avanguardia e rappresentante italiano nell’Internazionale Comunista. Condannato nuovamente a ventuno anni di carcere per attività eversiva sarà liberato solo a seguito della caduta del fascismo nel luglio 1943.

Entra quindi nella Resistenza divenendo Capo di Stato Maggiore (ma di fatto vice comandante generale) delle Brigate Garibaldi e membro del Comando generale del Corpo volontari della libertà. Dopo la Liberazione viene nominato direttore dell’edizione milanese de l’Unità e segretario della Federazione comunista di Milano. In questa veste sarà protagonista nel 1947 del clamoroso episodio dell’occupazione della prefettura di Milano, punto culminante della protesta per l’allontanamento del prefetto della Resistenza, Ettore Troilo (“Bravo! E adesso che ve ne fate?”, sembra sia stata la risposta di Togliatti messo a conoscenza degli eventi. Così in un’intervista a L'Europeo lo stesso Pajetta ricostruisce l’accaduto: “Decidemmo di andare in Prefettura per chiedere a Troilo di restare al suo posto. Così facemmo, ma con calma, con i lasciapassare (tutto regolare, niente Palazzo d’Inverno dunque) per tutti quelli che entravano dal prefetto. Ci sedemmo accanto a Troilo, che se ne stava tranquillo ad aspettare gli eventi”).

Ininterrottamente eletto dalla I Legislatura fino alla morte alla Camera dei deputati, per quarant’anni sarà membro della Direzione del Partito e fino al 1989 membro nel Comitato centrale. Modesto nella vita privata (“Era una personalità ricca di sfumature, per alcuni versi insopportabile - diceva di lui Miriam Mafai, compagna di una vita - Impaziente, molto colto, un divoratore di libri di ogni genere. E poi viveva di niente, a Roma in un appartamento orrendo. Non aveva mobili e io gli dicevo che aveva nostalgia del carcere. Parlando della mia casa diceva: Vedi? Qui in Unione Sovietica ci vivrebbero tre famiglie! Io gli rispondevo: Infatti io non voglio andare a vivere in Unione Sovietica . Giancarlo immaginava una società che non esisteva più e il suo sogno, da vecchio, era una camera in affitto in una casa di operai a Torino”), in Parlamento e sui giornali dell’epoca era noto per la veemenza dei suoi discorsi e per la causticità delle sue frasi ed espressioni (“Noi con i fascisti abbiamo finito di parlare il 25 aprile 1945!”, solo per citare la più nota).

Sarà proprio lui ad accogliere Giorgio Almirante a Botteghe Oscure quando il leader missino volle andare a rendere omaggio alla camera ardente di Berlinguer. “A Roma, in quel caldo 13 giugno - scriverà Pierpaolo Farina nel numero de I Siciliani contiene uno speciale per il trentennale della scomparsa di Enrico Berlinguer da lui curato - vennero da tutta Italia e da tutto il mondo a rendergli omaggio: capi di stato e di governo, leader politici di maggioranza e opposizione, ma soprattutto gente qualunque. Alla fine furono in due milioni a partecipare ai più grandi funerali della storia d’Italia. A rendere omaggio alla salma del leader del partito contro cui si era scritta la storia della Prima Repubblica ci andò anche il nemico per eccellenza, quel Giorgio Almirante capo dei fascisti del Msi, a cui Enrico non rivolgeva nemmeno la parola, perché, come disse in una tribuna politica del ’72, «Io coi fascisti non parlo». Eppure Almirante andò lo stesso, senza scorta, mettendosi in fila come gli altri. Rispose ad un giornalista: «Sono venuto a rendere omaggio ad una persona onesta che credeva nei suoi ideali». Quando si sparse la voce, gli andò incontro Giancarlo Pajetta, che aveva passato i migliori anni della sua vita nelle carceri fasciste: nessuno fiatò o protestò per la sua presenza, un rispettoso silenzio accompagnò quell’evento straordinario per la storia politica italiana. Per un attimo l’Italia parve riconciliarsi con se stessa” (quattro anni dopo, alla morte di Almirante nel 1988, sarà sempre Pajetta a rendere omaggio alla camera ardente dello storico avversario politico, suscitando anche in questo caso una certa sorpresa).

Morirà all’improvviso il 13 settembre del 1990 nella sua casa di Roma, di ritorno da una Festa de l’Unità, senza assistere alla fine, ormai decretata, del Pci (il giorno prima di morire d’infarto aveva rilasciato al Messaggero un’intervista nella quale, con riferimento alla “svolta della Bolognina” che avrebbe portato allo scioglimento del Pci, dichiarava di stare vivendo i giorni più brutti della sua vita). Il suo funerale sarà accompagnato dalle note di Bella ciao, de L’Internazionale e di Bandiera Rossa e la bara sarà seguita dalle bandiere partigiane. “È morto a casa mia - racconterà Miriam Mafai - (…) muore quando sta morendo il Partito comunista. Quindi ha già visto il crollo del muro di Berlino, ma non ha visto, per sua fortuna, la bandiera rossa che scende dal pennone del Cremlino. Ma all’epoca il Pci sta cambiando nome e lui sa che finirà. Certo Giancarlo è morto perché non era più un giovanotto, ma credo che non abbia voluto vedere il seguito”.