21.800 condivisioni, migliaia e migliaia di like, oltre un milione e mezzo di persone raggiunte, centinaia di commenti. Sono le performance del post con cui dalla pagina Facebook di Belle Ciao, il gruppo delle donne della Cgil, abbiamo commentato la sentenza con cui la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per avere giudicato, in un processo per stupro, la vita della vittima e i suoi costumi, e avere così orientato l’intero procedimento. Che si è tra l’altro concluso, con l’assoluzione degli imputati.

Quel post con metriche da pop star, di sicuro assolutamente inusuali per la pagina BelleCiao, ci dice qualcosa. Sono migliaia le persone che leggendolo ne hanno condiviso il messaggio rafforzato anche nei tanti commenti, e cioè che era ora che un’alta istituzione certificasse che è sbagliato: che le vittime di stupro ma anche di femminicidio, non vanno ri-vittimizzate mettendone sul banco degli imputati le abitudini di vita, le scelte personali, i costumi. 

Non sarà certo un caso che questo risultato sia registrato proprio mentre nelle aule dei tribunali e sulla stampa va in onda il processo al figlio di Beppe Grillo e ai suoi amici: sono accusati di stupro da parte di una ragazza che è stata messa alla gogna proprio dal comico ligure, in un video di accuse e ingiurie.  Video contestatissimo, certo, ma che nel difendere quei “bravi ragazzi che volevano solo divertisti”, ha dato voce a un pensiero ancora fortemente radicato che attribuisce alle vittime se non colpe, quantomeno complicità: l’abbigliamento, le reazioni emotive, le abitudini sessuali, l’aver bevuto alcool o meno.

Una prospettiva che si legge spesso negli articoli che della vittima dicono: “era ubriaca fradicia”, e dell’aggressore: “strano, un bravo ragazzo”. O ancora che parlano di delitto passionale, perché dopo la separazione lui non voleva più vivere mentre lei era tornata a vivere, o perché lei frequentava un altro uomo, lui invece no. 

La cultura patriarcale ancora così fortemente diffusa e radicata, è alla base della violenza sulle donne. Eppure la politica, spesso le aule dei tribunali, l’informazione non riescono a prenderne le distanze, a cambiare quella narrazione che la legittima e la rinforza. Per connivenza, ignoranza, per un clic. Ecco perché quel post, con quelle metriche straordinarie, è un messaggio chiaro. Dice basta, è ora di cambiare.