Il 16 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo - il quarto guidato da Giulio Andreotti - la Fiat 130 che trasporta Aldo Moro dalla sua abitazione alla Camera dei deputati viene intercettata tra via Fani e via Stresa da un commando delle Brigate Rosse. I cinque uomini della scorta (Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi) vengono uccisi sul colpo, Moro è sequestrato.

Il primo organo d’informazione a dare la notizia del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione degli uomini della sua scorta è l’edizione straordinaria del giornale radio di Radio2 con l’inconfondibile voce di Gustavo Selva che alle nove e venticinque afferma con tono commosso: “Abbiamo ricevuto ora una drammatica notizia che ha dell’incredibile e che, anche se non ha trovato finora una conferma ufficiale, purtroppo sembra vera: il presidente della Democrazia cristiana, on. Aldo Moro, è stato rapito poco fa a Roma da un commando di terroristi. L’inaudito, ripetiamo, incredibile episodio è avvenuto davanti all’abitazione del parlamentare nella zona della Camilluccia”. Circa due ore dopo il rapimento arrivano la dichiarazione ufficiale del presidente della Repubblica, Giovanni Leone, il comunicato ufficiale di Palazzo Chigi e l’appello del ministro dell’Interno, Francesco Cossiga.

Il presidente della Repubblica parla alle undici e ventisette: “Il rapimento di Aldo Moro ed il barbaro eccidio di quattro componenti della scorta - dirà - rappresentano un episodio sconvolgente e una gravissima sfida allo Stato. Pur nell’angoscia e nel terribile sgomento, il Paese non deve perdere la calma specie in questo drammatico momento e lo Stato deve dare una fermissima risposta, utilizzando tutti i suoi mezzi e contando sulla solidarietà di ogni cittadino. È dovere del governo, è nostro dovere, adottare ogni misura che sia considerata necessaria e possibile per affrontare questa situazione. Personalmente esprimo il mio più vivo dolore per queste vittime del dovere e, con sentimento di profondo affetto, auspico che Aldo Moro, eminente statista e massimo esponente della Democrazia cristiana, sia al più presto restituito alla famiglia e alla vita politica italiana”.

Così Giulio Andreotti sul suo diario: “16 marzo. Giornata drammatica. Rapito Moro vicino a casa sua e uccisi cinque uomini della sua scorta. Azione tecnicamente condotta da super specializzati che crea una impressione profonda. Ha dell’incredibile. Mi informa Caroli mentre stanno giurando i sottosegretari. Stento a crederci. Telefono a Noretta: è fortissima e piange sui morti che è scesa a vedere, stesi ancora a terra sulla strada. Vengono a Palazzo Chigi La Malfa, Berlinguer, Lama, Craxi, Romita, Zaccagnini, Macario, Benvenuto e tanti altri. Emozione profonda. Cossiga e Parlato diramano gli ordini per i blocchi stradali. Tutti concordano nel non dare alcun segno di cedimento e nel chiedere immediatamente la fiducia per il governo”.

Bruno Vespa apre l’edizione straordinaria del Tg1 dando lettura del comunicato brigatista all’agenzia Ansa a Roma. “Buongiorno - dirà l’allora conduttore del Tg1 gettando tutta Italia nello sgomento - il presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro, è stato rapito questa mattina alle 9:10 da un commando di terroristi mentre usciva dalla sua abitazione al quartiere Trionfale per recarsi a Montecitorio, dove alle 10:00 era fissato l’inizio del primo dibattito parlamentare sul nuovo governo Andreotti”.

Pochi minuti dopo Paolo Frajese in collegamento da via Fani darà una prima drammatica descrizione del luogo dell’agguato con le devastanti immagini in diretta della scena della strage. La voce del giornalista, spesso rotta dall’emozione ed esitante, descriverà la scena di un vero e proprio atto di guerra.

Il Paese vive con commossa partecipazione l’intera vicenda e i sindacati proclamano lo stesso 16 marzo lo sciopero generale. Grandi manifestazioni hanno luogo a Bologna, Milano, Napoli, Firenze, Perugia e Roma, dove 200.000 persone si raccolgono in piazza San Giovanni. Sul palco parlerà Luciano Lama.

Compagne e compagni, amici, cittadini di Roma, siamo di fronte, oggi, come hanno detto i compagni e gli amici che mi hanno preceduto, ad un delitto feroce, esecrando: il rapimento dell’onorevole Moro, l’uccisione di 5 lavoratori della Polizia, carabinieri ed agenti, sono l’ennesima, sciagurata tappa di una scalata criminale che vuole portare alla distruzione dello stato democratico, alla distruzione di quello stato che con la lotta del nostro popolo abbiamo costruito con la Guerra di Liberazione nazionale. Noi esprimiamo la solidarietà  al Partito della Democrazia cristiana, alla famiglia dell’On. Moro, a sua moglie, ai suoi figli, esprimiamo l’affettuoso, fraterno cordoglio alle famiglie degli agenti, dei carabinieri che sono stati uccisi nel momento in cui compivano il loro dovere. Ma in questo giorno che è un giorno di lutto, un momento drammatico nella vita del paese, in questo giorno il tumulto delle emozioni non deve dominarci, dobbiamo opporre alla violenza disumana la forma della ragione, la determinata volontà  di non piegarci al ricatto degli assassini, dei nemici della democrazia e della libertà  del nostro paese. Si parla di guerra civile. Noi ne abbiamo conosciute, ma in questo caso non siano di fronte alla lotta di una parte pur piccola di un popolo contro un’altra parte. Non è così. Siamo di fronte ad un pugno di professionisti del terrorismo che si accanisce contro le istituzioni e le libertà  nostre, siamo di fronte ad un piccolo gruppo di assassini che attenta alle istituzioni della democrazia italiana; è  vero però, è  vero e dobbiamo approfittare di questa circostanza per riflettere su questa realtà , che attorno a questa minuscola banda feroce di  criminali sta un certo strato di acquiescenti,  di passivi, di persone che se non altro moralmente si disimpegnano o addirittura solidarizzano con i criminali, con i terroristi o che stanno a guardare. Non è questo tempo di stare a guardare, amici di Roma. Non si può essere in questo momento, in questa prova, non si può assistere passivamente di fronte allo strazio che si tenta di fare delle istituzioni, della democrazia, della libertà del nostro Paese, dei valori fondamentali della convivenza civile che abbiamo conquistato con la nostra lotta. (…) I giovani che sono numerosi anche a questa manifestazione, gli studenti, i giovani operai, i nostri figli, le nostre ragazze, i nostri ragazzi devono capire che la violenza, il terrorismo sono l’esatto contrario della protesta sociale, anche la più ferma, perché il terrorismo spegne le possibilità  di lotta, isola il movimento dei lavoratori, sviluppa la sfiducia, il disimpegno, il qualunquismo: il terrorismo alimenta nell’uomo comune sentimenti di repressione, l’invocazione a misure eccezionali. Forse molti di noi hanno sentito questi discorsi oggi stesso nella propria casa o li hanno fatti essi stessi. (…) Il terrorismo isola il movimento di lotta dei lavoratori, il sindacato, ne mette in discussione, nell’interesse della difesa dell’ordine, le normali forme di lotta che sono espressione di democrazia  e di pluralismo sociale in questa società. (…) Io credo, compagne e compagni che nelle grandi prove, nei momenti decisivi come questo si misurano in effetti le qualità vere, migliori di una classe, di una popolazione, di una nazione. Sul mondo del lavoro unito incombe un compito importante nella difesa dei valori essenziali della libertà, della democrazia, della civiltà nostra; (…) dobbiamo sentire che l’intesa, l’unità fra di noi è una delle garanzie vere, delle possibilità della democrazia, della libertà di trovare nel nostro popolo la sua difesa essenziale. Dimostriamo in questo momento difficile, in questo momento tragico della vita del paese di essere all’altezza di questo grave compito.

“Io credo, compagne e compagni che nelle grandi prove, nei momenti decisivi come questo - conclude Lama - si misurano in effetti le qualità vere, migliori di una classe, di una popolazione, di una nazione”, come ricorda anche oggi la tessera della Cgil di questo complicato anno. 55 giorni più tardi, il 9 maggio, il corpo dello statista verrà ritrovato a Roma in via Caetani, emblematicamente vicina sia a Piazza del Gesù che a via delle Botteghe Oscure, a due passi dalle sedi storiche - rispettivamente - della Dc e del Pci.