Una pagina bianca su cui non c’è più il tempo di scrivere. Resterà questa l’immagine simbolo di una stagione sciistica, quella al tempo del covid, nata morta. Lasciando con le ginocchia affondate nella neve un movimento che ogni anno impiega, mediamente, lungo tutto l’arco alpino, 120mila addetti e fattura oltre 10 miliardi di euro. Sul filo di lana, proprio mentre tutte le regioni gialle sul confine settentrionale davano gli ultimi ritocchi e si preparavano all’accensione degli impianti annunciata per oggi, il Comitato tecnico scientifico che vigila sulla pandemia ha ottenuto dal riconfermato ministro della Salute, Roberto Speranza, la proroga, fino al 5 marzo, della chiusura. Piste in lockdown e comprensibile sconcerto da parte di esercenti e lavoratori. All’origine della decisione, la preoccupazione crescente per la rapidità con cui si sta diffondendo anche in Italia la variante inglese del virus. Il pool di scienziati che compone il Cts ha chiesto di non commettere imprudenze dando il via agli assembramenti che potrebbero crearsi intorno agli impianti di risalita. Ma è certo che tutto poteva essere gestito meglio. Per evitare che lo stop arrivasse a una manciata di ore dalla prima tranche di riaperture, quando la macchina era ormai in moto e molti addetti in crisi dopo mesi di Fis o di niente avevano già puntato la sveglia per tornare al lavoro questa mattina. Di certo non ha aiutato il varo di un nuovo governo proprio in queste ore convulse e anche questo pasticcio finirà sul conto di una crisi politica che resta, ancora oggi che si è conclusa, incomprensibile.

Il 15 febbraio, una data che doveva passare alla storia come la piccola simbolica rinascita del turismo invernale, in realtà sarà ricordato come il giorno in cui è morta ogni speranza di dare un senso alla stagione. E l’inverno del covid resterà negli annali come quello in cui a inforcare scarponi e sci, in tutta la sponda italiana dell’arco alpino, sono stati solo i grandi professionisti che gareggiano proprio in questi giorni ai Mondiali di Cortina d’Ampezzo.

Le tasche restano vuote. Sarebbe stato impossibile comunque riuscire a contenere le perdite dovute alla chiusura del primo mese, quello che va dal ponte dell’8 dicembre all’Epifania, con le punte di Natale e capodanno, che solitamente ipoteca l’intero esito della stagione.

A rimetterci esercenti e, soprattutto, lavoratori. A restare a secco un territorio che si arrampica per centinaia di chilometri, dal confine con la Francia a quello con la Slovenia. Un viaggio lungo quasi quanto la filiera di questo turismo. Che parte dalla figura tradizionale di chi ti aiuta a inforcare lo skilift in un qualsiasi impianto di risalita e arriva fino alla pinta del pub nella piazzetta del paese. Passando per maestri di sci, 14mila circa in tutto, grandi alberghi e piccoli B&B a gestione privata, ristoratori, camerieri, addetti alle pulizie, discoteche, supermercati, pub, benzinai, addetti al trasporto di persone, negozi e servizi di ogni genere.

Lo scenario

“Nel 2020 il covid ha interrotto il flusso turistico sulla coda di marzo, l’estate è andata bene, ma si è persa la stagione invernale”. A parlare è Stefano Landi, presidente di SL&A turismo e territorio. “L’impatto è molto pesante perché i due mesi più importanti restano dicembre e gennaio, anche per via delle tariffe praticate. È il turno del turismo più ricco. Dopo parte il cosiddetto turismo delle settimane bianche, in qualche modo low cost, con pacchetti più scontati. Quindi il primo mese, in realtà, vale tre volte un mese, vale un terzo dell’anno. Si usa dire che quando è andato bene il capodanno hai fatto l’anno”. Quanto hanno pesato i ristori e qual è stato il limite di queste misure? “Dei ristori hanno beneficiato imprese e professioni regolari. Il problema sono gli irregolari, i precari, in parte gli stagionali, soprattutto maestri di sci e addetti agli impianti, che in molti casi lavorano quei tre, quattro mesi. Poi gli irregolari ovviamente non sono stati ristorati”. Qual è la ricetta per ripartire? “La mia idea è che sia molto più realistico ripartire dal piccolo, non dalle catene alberghiere e dai grandi tour operator. Il segnale è nelle libere professioni, nelle start up e nelle piccole esperienze”. In questo deserto di turismo si sono accesi i riflettori sui mondiali di Cortina. Cosa possono significare? “Un buon segnale per tutto il movimento, con un ritorno straordinario di immagine e di pubblicità. Se ne parlerà per un anno. Tutte le pagine dei giornali e i servizi televisivi lo racconteranno. In termini di investimento vale decine di milioni di euro. Un beneficio che, di solito, si riesce a capire appieno solo dopo l’evento”.

I mondiali, un faro nel buio

A Cortina d’Ampezzo e nel bellunese a illuminare il lungo inverno perduto è arrivato il circo dei mondiali di sci. Il contesto resta drammatico, come ci racconta la segretaria generale della Filcams provinciale, Fulvia Bortoluzzi. “La stagione invernale impiega normalmente almeno 6mila persone. Molte delle quali provengono dal Sud, dalla Sardegna e dai paesi dell’Est. A questi si devono aggiungere tutte le partite Iva, i titolari di attività. Nessuno ha lavorato quest’anno, tranne una selezione di circa un migliaio di addetti che sono attualmente impiegati per i mondiali”. Mesi di lavoro buttati. “Le assunzioni partono i primi di novembre con la manutenzione degli impianti e arrivano a metà aprile, più o meno. La clientela che fa gli introiti non è quella locale. Con le regioni chiuse e le piste aperte non sarebbero comunque ripartite le prenotazioni negli alberghi. Forse qualche baita, qualche bar, qualche pasticceria, ne avrebbero tratto beneficio, ma le strutture ricettive sarebbero rimaste al palo. E poi qui abbiamo moltissima clientela straniera, russi in particolare, e una consistente presenza che proviene dal centro Italia, abruzzesi, laziali”. Anche con la riapertura, insomma, il quadro resta a tinte fosche. Come impatta questo bilancio? “La stagione estiva è stata così proficua che i titolari delle aziende riescono a reggere nonostante la perdita dell’inverno, considerando anche i ristori. Staranno molto male i piccoli bar, le piccole attività, il commercio dei souvenir, dell’oggettistica. La crisi poi si scarica sui lavoratori, gli addetti saranno davvero in difficoltà”. Proprio in provincia di Belluno, a Cortina d’Ampezzo, sono in corso i mondiali di sci.

“Una grande occasione, che ha permesso a tutto il circondario di poter aprire e di poter avere un guadagno sicuro. Con gli impianti in funzione, terminata la competizione si potrà proseguire con un minimo di stagione e un grande ritorno di pubblicità”.

 

Il destino appeso a una fune

 

 

“Il periodo è stato difficilissimo per gli addetti degli impianti a fune. Già dal marzo dello scorso anno. I lavoratori fissi sono stati messi in cassa integrazione e gli stagionali, quelli che potevano, sono andati in naspi”. A dirlo, nel video (a cura di Sonia Marchese, ufficio stampa Cgil Valle d'Aosta), è Cristina Marchiaro, segretaria generale della Filt Cgil Valle d’Aosta. “A ottobre speravamo di riaprire e invece è tornata la pandemia e il governo ha deciso di chiudere tutto. Impianti fermi. Per la Valle d’Aosta attendere il 5 di marzo equivale a dire addio a tutta la stagione. La riapertura con le regioni chiuse, anche se non sarebbe stata economicamente vantaggiosa, avrebbe significato per l’intero movimento il segnale di rinascita che attendevamo”.