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Le conseguenze della crisi

Industria e produzione: non fermate il Paese

Foto: skeeze da Pixabay
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Nelle fabbriche, nei cantieri, in agricoltura servono interventi capaci di rispondere all'emergenza lavoro ma anche di costruire un futuro più verde, più innovativo, più trasparente e meno diseguale. Non si può perdere tempo né mancare l'occasione che arriva dai fondi europei. I contributi di Marco Falcinelli (Filctem), Alessandro Genovesi (Fillea), Giovanni Mininni (Flai), Francesca Re David (Fiom)

 

Marco Falcinelli, segretario generale Filctem Cgil

Siamo molto preoccupati per gli effetti che questa crisi può avere sia sul paese sia per quello che riguarda i rapporti con l’Europa. In questi mesi abbiamo faticosamente recuperato un po' di credibilità nei confronti delle istituzioni europee, per come abbiamo saputo rispondere alla pandemia e per come, grazie anche al ruolo fondamentale che abbiamo svolto come sindacato, siamo riusciti a far lavorare le persone in sicurezza con i protocolli che abbiamo firmato con il governo. Se il Paese, le sue attività produttive essenziali sono state garantite lo si deve anche a noi e ai lavoratori che tra quelle difficoltà hanno continuato a garantire la loro prestazione. Siamo in un momento cruciale della vita del paese, dobbiamo unire le forze per riprogettare un nuovo modello sociale e di sviluppo e l’apertura di una crisi di governo è francamente inaccettabile. Anche noi abbiamo espresso delle critiche al governo, sia sul metodo che ci ha visti sostanzialmente privi di un luogo e un momento di confronto complessivo, sia sul merito rispetto ai contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma non per questo abbiamo smesso di dare il nostro contributo di idee e di proposte per migliorare o modificare le scelte compiute.

 

Soprattutto sul versante delle scelte di politica industriale abbiamo molte riserve su ciò che è stato deciso. Manca una visione complessiva, di sistema paese e anche l’allocazione di risorse non ci convince fino in fondo. Il tema della sostenibilità ambientale, di cui condividiamo senza tentennamenti gli obiettivi definiti anche dal Green new deal europeo non affronta in modo programmatico la fase di transizione energetica che il Paese dovrà affrontare. Le scelte fatte lasciano intendere che il paese e il suo sistema industriale siano pronti dall’oggi al domani a passare dall’utilizzo degli attuali vettori energetici all’utilizzo al 100% delle fonti rinnovabili. Purtroppo, non è così, serviranno tempi più lunghi e forti finanziamenti se vogliamo cogliere gli obiettivi di abbattimento e azzeramento delle emissioni inquinanti per compiere quel salto tecnologico a cui oggi il nostro sistema industriale non è pronto. Per questo siamo preoccupati, non solo per le scelte di oggi, ma per le scelte che riguardano il futuro del Paese. Per rispondere appieno alle regole e alle condizioni per avere le risorse del Recovery plan serve una politica credibile e un governo stabile, non esposto alle fibrillazioni avventuristiche di qualcuno.

 

Alessandro Genovesi, segretario generale Fillea Cgil
Come Fillea Cgil, già prima del consiglio dei ministri e della conferenza stampa di Renzi, avevamo espresso tutte le nostre preoccupazioni e critiche verso chi, irresponsabilmente, stava (e sta) giocando a poker con la vita di milioni di italiani e con il futuro del Paese, in piena pandemia e con una crisi economica devastante. In particolare come Fillea avevamo valutato positivamente l’ultima versione del Piano nazionale per la ripresa e resilienza in particolare per quanto riguarda efficienza energetica e riqualificazione degli edifici (pubblici e privati), proroga del bonus 110%, completamento delle infrastrutture per una mobilità sostenibile, lotta al dissesto idrogeologico, tutte scelte in continuità con le indicazioni già presenti nell’allegato Italia veloce e nella legge finanziaria che, per i nostri settori, accoglievano molte delle richieste avanzate dalla stessa Fillea per aumentare l’occupazione e contribuire così alla riduzione delle disuguaglianze.

Foto: Marco Merlini
Anzi proprio perché diverse scelte erano già compiute e condivise con il sindacato (dall’utilizzo delle norme previste dalla legge 120/2020 in alternativa al “modello Genova” all’importante intesa dell’11 dicembre sulle opere pubbliche, dalle intese sottoscritte con ministero dell’Istruzione e ministero della Salute all’allargamento del bonus 110 anche per l’abbattimento delle barriere architettoniche) chiediamo maggiore responsabilità e continuità nell’azione del governo, perché molto rimane ancora da fare: dall’emanazione da parte del ministro Catalfo del decreto per generalizzare il Durc di congruità (pre-condizione per evitare che le tante risorse vadano ad alimentare lavoro nero ed irregolarità varie) alla qualificazione delle stazioni appaltanti e relative assunzioni di migliaia di figure tecniche.

Le imponenti risorse destinate ai vari capitoli - oltre 80 miliardi tra risorse nazionali, Recovery fund, nuova programmazione dei fondi europei - e la necessità di completare e attuare le intese sottoscritte per rilanciare il settore dopo anni di crisi e centinaia di migliaia di posti di lavoro persi impongono a tutti di garantire stabilità e continuità all’azione amministrativa e di programmazione del governo e dei suoi principali ministeri. Alle lavoratrici e lavoratori deve essere chiaro chi sta facendo cosa, chi sta lavorando per il Paese e chi per motivi poco chiari e comprensibili, sapendo che in gioco vi è non solo la ripresa economica e la tenuta sociale del Paese, ma anche e più in generale la tenuta delle istituzioni democratiche. Far cadere il governo oggi rischia di produrre ulteriori fratture tra la gente e le istituzioni, tra la rappresentanza sociale e quella parlamentare.

 

Giovanni Mininni, segretario generale della Flai Cgil
Siamo preoccupati. Aspettavamo tante risposte che ora rischiano di non arrivare. Per esempio, sui bonus ai lavoratori agricoli: non erano stati inclusi nel decreto agosto, a differenza degli stagionali dell’industria, e si stava lavorando per sanare questa mancanza. Così come chiedevamo tutele per i lavoratori posti in quarantena per i quali è a rischio l'indennità di disoccupazione. Un’altra questione fondamentale che resta in sospeso è la riforma degli ammortizzatori sociali che secondo quanto ci era stato annunciato avrebbe dovuto investire anche la previdenza agricola. L’altro grande tema riguarda la parte del Recovery Fund destinata al nostro settore: parliamo complessivamente di oltre 10 miliardi di euro. Si tratta di fondi destinati al green deal agricolo che, tra l’altro, solo poco prima che la ministra Bellanova si dimettesse, avevano registrato già una cospicua riduzione. Il che significa meno risorse per la rivoluzione verde, per i piani di economia circolare e sostenibile e per la riduzione dei fenomeni clima-alteranti.

Foto: Marco Merlini
Questo ci impone di vigilare sia in Italia che a Strasburgo, tanto più che lo scorso mese eravamo riusciti a far approvare dal parlamento europeo un emendamento che imponeva il rispetto della clausola sociale ovvero l’applicazione dei contratti nazionali di lavoro da parte delle imprese destinatari dei fondi della politica agricola comune (Pac). Era un obiettivo per il quale ci siamo battuti negli ultimi vent’anni e quella decisione va rafforzata e inserita nei criteri generali della Pac, recepiti poi dai singoli Stati. Se da parte del governo italiano dovesse mancare questo presidio rischiamo di perdere una conquista che riguarda i temi sociali, dalla lotta allo sfruttamento in agricoltura al caporalato.

 

Francesca Re David, segretaria generale della Fiom Cgil
La crisi di governo in piena emergenza pandemica è totalmente estranea ai problemi reali delle persone e del Paese. Estranea perché il Paese è coinvolto sia dalla crisi sanitaria sia da una crisi economica fortissima, che sta portando sull’orlo della povertà tantissime persone. È opportuno, allora, che questo governo vada avanti, anche perché non mi sembrano esserci le condizioni per dare tempo e spazio ad altro. L’incertezza politica non dovrebbe bloccare il lavoro dei tanti tavoli tecnici sulle principali vertenze italiane, come l’ex Ilva ad esempio, mentre invece si rischia di seppellire definitivamente ogni speranza di confronto sul Recovery Fund.

Foto: Marco Merlini
Il governo è stato molto attento nel marzo scorso, durante il lockdown, mettendo in campo una metodologia che ci ha consentito di gestire tutti assieme, esecutivo e parti sociali, una situazione imprevedibile e complessa come la pandemia Covid-19. Nella fase in cui era necessario discutere del Recovery fund, dunque di cosa fare per oggi e per il futuro, il dialogo invece è venuto a mancare. Ed è proprio quest’ultimo aspetto a rendere la crisi di governo particolarmente inaccettabile. Il Conte II è nato da un’assunzione di responsabilità da parte del Parlamento nei confronti dell’onorevole Salvini, che aveva espresso la richiesta di assumere pieni poteri. In sostanza, questo governo è nato per salvare la democrazia. Un’assunzione di responsabilità che ora non vedo più. Vogliamo essere coinvolti nella discussione sui contenuti del Recovery fund. Questa crisi della politica impedisce che sia fatta ora la discussione, che è l’ultimo momento utile per coinvolgere le parti sociali, i giovani e l’intero Paese in un grande momento di confronto sul futuro e per rimettere al centro le persone e il lavoro.