Il 31 dicembre terminerà il blocco degli sfratti approvato lo scorso giugno dal Governo, una misura utile e necessaria a mitigare gli effetti drammatici che la pandemia avrebbe avuto sul comparto dell'affitto abitativo. Cosa succederà dal primo gennaio, lo abbiamo chiesto a Stefano Chiappelli, segretario generale del Sunia, il sindacato unitario nazionale inquilini ed assegnatari.

Il blocco dell'esecuzione forzata degli sfratti è stata una misura tampone che per qualche mese ha messo al riparo migliaia di famiglie colpite dalla crisi, dalla disoccupazione e dall'erosione dei redditi; ora cosa dobbiamo aspettarci?

Ritengo che sia impensabile, nella grave situazione che si registra, sia in termini di pandemia che sul piano economico e sociale, riprendere l’esecuzione forzata degli sfratti e delle procedure immobiliari sia per le abitazioni che per i locali nei quali si svolgono le attività commerciali.
Sarebbe gravissimo e inaudito che dal primo gennaio la forza pubblica fosse impiegata, invece che sul controllo del rispetto delle regole di comportamento per la pandemia e sul contrasto al crimine, per estromettere le famiglie da un'abitazione per la quale non c’è alternativa alloggiativa. Pensiamo solo a cosa accadrebbe nelle città medio-grandi e nelle aree metropolitane, che alla tensione attuale vedrebbero sommarsi l’effetto di migliaia di “senzatetto”: un incubo vero e proprio che, solo a immaginarlo, dà il senso della irresponsabilità di chi preme per la ripresa della esecuzioni.
Io auspico un diverso clima di ragione e solidarietà, vorrei ribadire un'idea che abbiamo avanzato già dal marzo scorso, all’inizio della tragica emergenza che viviamo da dieci mesi, e cioè un appello alle organizzazioni della proprietà, al governo, al Parlamento e ai Comuni per un cambio di marcia sugli affitti. Occorre aprire un confronto serio per rinegoziare canoni di locazione e condizioni di contratto a cui nessuno può sottrarsi, altrimenti la situazione diventa ingovernabile.

In queste ultime settimane abbiamo raccolto l'allarme delle vostre sedi territoriali che temono un'ondata senza precedenti di sfratti esecutivi. Da Bolzano a Catania il disagio abitativo interessa tutto il territorio nazionale, nella 'sua' Milano ci sono state 23.000 domande per soli 1.000 alloggi popolari. Quali strumenti e quali politiche occorrono per invertire questa dinamica?

Innanzi tutto faccio presente che l’attuale recrudescenza dell’emergenza e del disagio abitativo viene da lontano ed oggi, come per la sanità e la scuola, paghiamo il conto di politiche inesistenti e peggiorative, di tagli, di assenza di una visione di programmazione rispetto ai reali bisogni. Una edilizia residenziale pubblica ridotta al lumicino mentre cresceva il peso della domanda sociale, misure che hanno, in maniera miope, privilegiato e agevolato l’acquisto della prima casa a scapito dell’affitto, tolleranza verso l’evasione fiscale che nel settore della locazione ancora è presente in termini significativi, consentire che tanti alloggi uscissero dal mercato della locazione durevole per essere utilizzati come locazioni brevi turistiche con effetti gravi sugli assetti e la stessa identità dei nostri centri storici.
A una tale crisi si deve rispondere in maniera articolata e rapidamente. Va ripensato il ruolo dell’edilizia pubblica senza consumo di suolo e del recupero del patrimonio esistente con massicci piani di finanziamento che possano utilizzare lo stesso Recovery fund e il superbonus del 110% con un ruolo centrale degli Iacp comunque denominati.
La leva fiscale delle agevolazioni IMU e cedolare secca deve premiare chi affitta a canoni realmente concordati e sopportabili dalle famiglie a medio e basso reddito. Va data all’inquilino la possibilità di portare in detrazione ogni anno una parte del canone di locazione prevedendo anche la cessione del credito di imposta.
Va trasformato l’housing sociale che fino ad oggi non ha dato risultati fissando il principio che l’aiuto dello stato deve andare a costruttori e cooperative che investono per alloggi in affitto a canoni contrattati nell’ambito di accordi integrativi territoriali. A tale proposito vorrei ricordare che la rincorsa degli anni scorsi verso la casa di proprietà sta producendo nel settore delle prime casa molte esecuzioni di procedure immobiliari che colpiscono gli acquirenti in ritardo con le rate di mutuo.
Come Sunia abbiamo individuato una serie di emendamenti che all’interno della prossima legge di bilancio vanno in questa direzione, ora spetta a Parlamento e Governo prendere le decisioni conseguenti.

Nella legge di bilancio c'è stato il rifinanziamento del Fondo di sostegno alle abitazioni in affitto, uno stanziamento di 210 milioni per il 2021 e 230 milioni per il 2022, fortemente sollecitato dalla vostra organizzazione. Cos'altro vi aspettate?

E’ un tasto dolente, che ci riporta a quanto detto prima. Dobbiamo sapere che prima della pandemia i due fondi, quello per il sostegno all’affitto e quello della morosità incolpevole, erano praticamente azzerati. Un contributo indispensabile richiesto da migliaia di famiglie ridotto a pochi spiccioli, affidati ai comuni che dovevano gestirli applicando criteri e parametri superati dalla realtà, risalenti al millennio scorso, poco rapidi e burocratici. 
Le cifre di oggi sono certamente diverse ma sono ancora insufficienti per soddisfare sia la domanda pre-pandemia che quella esplosa dopo l’emergenza sanitaria.
Oggi il fronte che dobbiamo tenere presente ha un duplice aspetto: le risorse devono essere maggiori per consistenza e di respiro strutturale per dare certezze all’inquilino, ma anche al proprietario che affitta e che giustamente si preoccupa di ricevere ogni mese il canone. In passato coi cali degli stanziamenti per i fondi l’inquilino che contava sul contributo è caduto nella morosità incolpevole e da qui gli sfratti di oggi. Questo non deve accadere se si vuole salvare una politica dell’affitto in Italia. Il secondo aspetto è quello di criteri rapidi ed efficaci, con erogazione “a sportello” dei contributi a chi veramente ne ha bisogno.
Entro la fine dell’anno Governo e Regioni devono formulare nuovi criteri, per i quali abbiamo avanzato proposte specifiche, che ci auguriamo siano tenute in debita considerazione, come pure ci aspettiamo sia messo a sistema il confronto con le rappresentanze sindacali degli inquilini.