“La pandemia ha accentuato e reso evidenti le criticità e le debolezze già presenti nel nostro mercato del lavoro: crescita della precarietà e dell’occupazione povera e scarsamente qualificata, esclusione dei giovani, ampliamento dei divari territoriali”. Così la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti commenta quanto fotografato dalla ricerca realizzata dalla Fondazione Di Vittorio “Il mercato del lavoro in Italia alla prova della pandemia: ripercussioni e prospettive”. Per l’esponente sindacale, inoltre, la diffusione del virus “ha determinato il crollo dei tempi determinati, la crescita dei lavoratori scoraggiati e l’aumento di coloro che sono nella cosiddetta area della sofferenza”.

La ricerca esamina le tre diverse fasi dell’occupazione in Italia nel corso del 2020, proponendo una lettura (non una previsione) relativa al 2021. La prima fase, quella del lockdown di marzo e aprile, i cui effetti sono stati catturati dalle statistiche del secondo trimestre, si segnala per l’aumento degli inattivi, l’incremento della cosiddetta “area della sofferenza” (disoccupati, scoraggiati, occupati in cassa integrazione), la progressiva perdita di occupazione, in particolare tra i dipendenti a tempo determinato, i giovani under 35, le donne e i lavoratori del Mezzogiorno. “La crisi dovuta all’emergenza sanitaria – si legge nella ricerca – ha colpito soprattutto, nel secondo trimestre 2020, le componenti più vulnerabili del mercato del lavoro, le posizioni lavorative meno tutelate e l’area del Paese tradizionalmente più in difficoltà, il Mezzogiorno. In altre parole, la pandemia ha acuito i divari preesistenti nella partecipazione al mercato del lavoro”.

La seconda fase, dalla tarda primavera al periodo estivo, si caratterizza per la ripresa dell’occupazione (perlopiù stabile) e il calo dell’inattività, cui consegue l’incremento dei disoccupati. La terza e ultima fase, segnata dalla recrudescenza dell’epidemia in autunno e dal ripristino di severe misure di contenimento, vede un nuovo rallentamento dell’economia e la diminuzione dell’occupazione (in ottobre mancano all’appello, rispetto a febbraio, circa 420 mila occupati, mentre si contano circa 80 mila disoccupati e oltre 230 mila inattivi in più). “Non sappiamo quale sarà l’impatto della seconda ondata pandemica, che interviene su un tessuto produttivo già sfibrato e ridimensionato”, spiega l’analisi: “Possiamo soltanto ragionevolmente sostenere che la proroga della cassa integrazione e del blocco dei licenziamenti fino al 21 marzo del 2021, insieme ai ristori disposti per autonomi e partite Iva, limiterà, almeno fino a quella data, la perdita di posti di lavoro causata dalla nuova recessione”.

Partendo proprio da quest’analisi, e dalla possibile lettura dei prossimi mesi, la segretaria confederale Cgil Tania Scacchetti ribadisce che “il 2021 non può diventare l’anno dei licenziamenti”. Il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali e il blocco dei licenziamenti “hanno evitato una vera e propria emorragia di posti di lavoro, ma ora sono urgenti altre misure, in primis la riforma degli ammortizzatori sociali, accompagnata da alcuni interventi da attuare subito come il rilancio dei contratti di solidarietà, il rafforzamento della Naspi e della Dis Coll”. Altrettanto fondamentale sarà “definire una forte condizionalità degli investimenti alle loro ricadute occupazionali. Sarà essenziale indicare un piano straordinario per l’occupazione che a partire dai settori pubblici, sanità e istruzione in primis, possa garantire uno shock occupazionale soprattutto per giovani e donne”.

Per la segretaria confederale Cgil “la sfida che il nostro Paese ha davanti, offerta anche dalle risorse europee, è quella di scegliere un nuovo modello di sviluppo fondato sulla crescita sostenibile, sull’innovazione digitale, sulla riconversione ambientale del sistema produttivo e sul lavoro di qualità”. Invertire la tendenza, conclude Tania Scacchetti, che negli ultimi anni “ha visto crescere le disuguaglianze nel mercato del lavoro, aumentare il lavoro precario e discontinuo, non è solo possibile, ma obbligatorio”.