“L’Inca, come spesso è accaduto, è stato un faro in mezzo al mare, per tutti”. A parlare con Collettiva è la coordinatrice del patronato della Cgil in Piemonte, Anna Zerbi, reduce in questi mesi da un’attività frenetica che ha visto esplodere il numero delle pratiche aperte in regione. Le 170 mila seguite mediamente in un anno, in pochi mesi sono diventate 120 mila, curate in remoto. Non una differenza da poco se pensiamo che quello che in presenza richiedeva 10 minuti, al telefono può richiedere anche tre quarti d’ora. Perché i cittadini si sono trovati impreparati di fronte a questa rivoluzione organizzativa imposta. Molto spesso, anche per ragioni anagrafiche, l’Inca ha dovuto dialogare a distanza con persone che in casa non avevano un computer, uno scanner, costrette a mandare le foto dei documenti via cellulare, magari sfocate o con i margini illeggibili. Con utenti che non avevano un indirizzo e-mail e si sono appoggiati a quello dei figli o dei nipoti.

“All’Inca – ci racconta Anna Zerbi – siamo dovuti intervenire per modificare integralmente e sostanzialmente l'organizzazione del lavoro e il tipo di attività. Troncare le relazioni umane è stato un elemento di grande sofferenza, perché il contatto umano ci ha sempre identificati. E superare le barriere informatiche non è stato facile. Abbiamo passato momenti e mesi davvero complicati, scontrandoci con tutte quelle difficoltà che da anni segnaliamo nei tavoli con l’Inps. Siamo stati, di fatto, insieme a pochi altri patronati, gli unici ad assicurare un presidio di prossimità sul territorio, laddove molti enti sono scomparsi”. Una sfida impegnativa, con prospettive incerte, “perché non sappiamo per quanto andrà avanti questa fase organizzativa che ha gonfiato a dismisura i tempi dell’attività”.

“La difficoltà per tanti versi nuova alla quale ci siamo trovati di fronte è stata anche quella di gestire questa situazione a livello umano, per altro a distanza, con persone che non riuscivano ad ottenere benefici di cui avevano estremo bisogno, quali quelli legati alla salute, all’accompagnamento o all’invalidità. Quest’attività è stata completamente bloccata”.

Qual è stato il tipo di attività prevalente? “Abbiamo aumentato in modo esponenziale – dichiara la coordinatrice dell’Inca Cgil Piemonte – tutte le pratiche legate a servizi, indennizzi e bonus covid, pratiche che per l’Inca non fanno punteggio dal punto di vista economico. Sulle pratiche nelle quali facciamo davvero tutela, quelle legate alla salute, all’invalidità, alle pensioni, al riconoscimento delle malattie professionali, abbiamo subito un rallentamento. Questo ha comportato, nei primi nove mesi dell’anno, un abbattimento delle nostre risorse economiche per un valore che va dal 9 al 13 per cento. Una conseguenza inevitabile, perché alcuni servizi se non li avessimo messi in campo noi non sarebbero stati di fatto accessibili”.

E sul fronte della battaglia per il riconoscimento del covid come danno da lavoro? “Qui in Piemonte – ci dice Anna Zerbi – abbiamo fatto una grande campagna, inviato messaggi a tutti i nostri iscritti impiegati nei settori a rischio, dalla sanità al commercio, dai cantieri ai servizi, per sensibilizzarli al fatto che se si fossero ammalati avrebbero avuto diritto a tutte le tutele, compreso il danno permanente. Nella prima fase, in realtà, i riscontri sono stati molto bassi. Molti di loro, soprattutto gli operatori sanitari, erano impegnatissimi nel lavoro e si sono preoccupati meno della loro salute. Adesso che stanno arrivando le prime risposte negative dell’Inail, laddove l'istituto non riconosce il nesso causale tra attività e positività da covid, in tanti si rivolgono a noi per fare ricorso, riconoscendo la nostra funzione tipica nell’emersione e nell’affermazione dei diritti”.