Gli avvenimenti del giugno-luglio 1960 hanno un significato particolare nella storia del nostro Paese perché possono essere storicamente paragonati a due altri grandi passaggi: il primo, quello del 1900 con lo sciopero generale di Genova, che vide di fatto la fine di un periodo di involuzione autoritaria dello Stato e delle forze politiche liberali e il passaggio alla soluzione giolittiana, la quale aveva al centro la questione della legittimità delle Camere del Lavoro e del diritto di sciopero. Il secondo quello della nascita della democrazia sulle macerie del regime fascista, con al centro la costituzionalizzazione dei diritti del lavoro quale fondamento pattizio della Repubblica. 

Nel 1960, nel quadrilatero Genova – Reggio Emilia – Roma – Sicilia, le lotte sociali e il protagonismo sindacale della Cgil resero possibile il passaggio dalla legalità repubblicana costituzionale, affermatasi con la Resistenza, al funzionamento della democrazia secondo i principi dell’antifascismo e dell’arco costituzionale. La democrazia repubblicana e la svolta liberale trovano le loro radici in questa realtà sociale urbana, in queste città, in questo mondo, in questi valori e in questi passaggi. La crisi politica del giugno-luglio ’60 ha una matrice lunga. Non riguarda semplicemente gli eventi delle ultimissime settimane, ma piuttosto le modalità con cui implode il centrismo.

In questo contesto va dunque svolta una riflessione più puntuale su cosa sia stato il centrismo e quale ne sia stata la crisi. In mancanza di una tale riflessione si rischia, altrimenti, di ripetere uno schema interpretativo, peraltro ormai inflazionato, che semplicisticamente glorifica il centrismo come fase costitutiva fondamentale della Repubblica parlamentare. In realtà, il centrismo, se interpretato attraverso fenomeni quali lo scelbismo e la sua legittimazione, diventa qualcosa di diverso rispetto a quello che si potrebbe immaginare. Il fatto che lo “scelbismo senza Scelba” di Tambroni fallisca miseramente, ma lo scelbismo con De Gasperi si realizzi comporta una attenta riflessione sulla natura del centrismo stesso. Scelba, senza De Gasperi, non avrebbe potuto esercitare, in realtà,  la sua azione di repressione, la sua concezione della costruzione della prima fase dell’Italia repubblicana. È l’avallo politico di De Gasperi che crea l’equilibrio del centrismo.

Una seconda riflessione riguarda, poi, il ruolo del Presidente della Repubblica, intorno al cui  ruolo, in una democrazia parlamentare bloccata, si annida, sino ad oggi, la matrice ultima del cortocircuito istituzionale nel sistema per altri versi bilanciato dei poteri e degli organi istituzionali dello Stato.  È proprio nel ruolo svolto da Gronchi nel tentativo di sbloccare la crisi del giugno-luglio 1960 che tale matrice trova la sua origine. Nell’impasse generale, infatti, il presidente Gronchi prende una iniziativa che a livello politico-parlamentare è destinata a rivolgersi contro se stessa. Partito con l’idea di sbloccare il sistema “a sinistra”, Gronchi finisce con l’aprire la strada ad un governo appoggiato dai neofascisti e viene travolto da quell’ipotesi di apertura, di convergenze parallele, che sarà poi gestita da uomini estranei allo stesso Presidente.

La Cgil è certamente la prima grande organizzazione che intercetta quanto sta accadendo nel cuore del Paese, nella realtà sociale del mondo del lavoro e collega, in qualche modo, i propri processi interni con la dimensione politica inevitabile che la crisi sta assumendo. Ed è da questo momento che il protagonismo della Cgil cambia completamente lo scenario perché, nel momento in cui  viene proclamato lo sciopero generale, quella protesta sociale viene in qualche modo investita di una dimensione politica. Contemporaneamente la Cgil, in assenza di soluzione politico-parlamentare autonoma, indica alle forze politiche che l’antifascismo e il lavoro sono e devono essere la base dell’arco costituzionale, cioè della traduzione dei principi della Costituzione in concreto comportamento delle forze politiche. E’ in questa fase che la forza baricentrica della Cgil, a questo punto sì, politica, emerge con tutta la sua forza.

Da quel momento la Cgil, in quanto rappresentante dell’intero mondo del lavoro, assume una fisionomia, una funzione che, in qualche modo, richiama con forza la grande tradizione di Di Vittorio: essere una forza sociale che gioca un ruolo politico senza avere alcuna concreta forma di azione direttamente politico-partitica.

Adolfo Pepe è il direttore della Fondazione Di Vittorio