Se vogliamo parlare delle battaglie giuste del sindacato, l’ultima buona notizia ci arriva da Lecce, dove un gruppo di lavoratori, coinvolti nella vertenza Call Marketing, ha ottenuto la prima reintegra dopo due anni di lotte. La vicenda inizia nel febbraio 2016, quando a decine di operatori del call center, all’epoca con sede ad Acquarica di Lecce, viene presentata una proposta scioccante: rassegnare le proprie dimissioni, per poi proseguire il rapporto di lavoro con contratto autonomo di collaborazione. In caso di rifiuto, è pronto per loro il trasferimento a 60 chilometri dalla sede di lavoro. Su 90 dipendenti, più della metà non ci sta e in tanti si rivolgono alla Slc Cgil, opponendo un netto rifiuto alle dimissioni. Per tutta risposta, l’azienda tiene fede alla “minaccia”, trasferendoli. Decisione che fa scattare uno sciopero ad oltranza di 8 mesi, guidato dalla Slc, terminato a novembre 2016.

Quattro mesi dopo, a febbraio 2017, l’azienda li trasferisce a Galatina, come proposto dal sindacato mesi prima. Ma proprio allora comincia il calvario. Con la scusa dello scarso rendimento, Call Marketing attua una vera e propria politica di riduzione del personale. Secondo i ricorrenti, in realtà è l’azienda a precostituire le condizioni di “scarso rendimento”, passando ai lavoratori liste di utenti non interessati al dialogo, che non avrebbero mai acquistato l’articolo promosso. Una platea di contatti “negativi” assegnata solo ai chi aveva rifiutato la trasformazione del contratto a progetto e a chi aveva partecipato allo sciopero. Dopo due anni, la prima lavoratrice, sostenuta dalla Slc Cgil, ha ottenuto giustizia, dando speranza anche agli altri suoi colleghi. Il Tribunale ha dichiarato nullo il licenziamento deciso da Call Marketing e ha condannato l’azienda alla reintegra nel posto di lavoro, oltre che al pagamento di una indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegra (e al pagamento delle spese legali).

Per Valentina Fragassi, segretaria generale della Cgil cittadina, e Tommaso Moscara, leader della Slc di Lecce-Brindisi, “la sentenza fa giustizia di una grave prevaricazione perpetrata a danno di persone per le quali il lavoro nel call center era l’unica fonte di sostentamento, che hanno visto nello sciopero l’unico mezzo per tutelare i propri diritti. Questo pronunciamento rilancia la convinzione della Cgil: l’articolo 18 non solo non andava abrogato, ma andava ampliato ad una platea di beneficiari più estesa. Per l’ennesima volta un giudice del lavoro italiano ‘mette in discussione’ il Jobs Act, che prevedeva sgravi fiscali per le aziende che avrebbero assunto a tempo indeterminato, salvo poi dare mano libera ai licenziamenti attraverso il meccanismo delle cosiddette ‘tutele crescenti’. Il tentativo di Call Marketing di ‘consigliare’ le dimissioni dietro minaccia di un trasferimento in blocco dimostra che alcune aziende intesero pretestuosamente quella riforma: la Cgil da subito mise in guardia il Legislatore sui pericoli delle tutele crescenti. Alla luce anche di questa sentenza, emerge con forza la necessità di un nuovo Statuto dei Lavoratori”.