Mentre l’Europa intera tenta un approccio pandemia europeo all’utilizzo di tecnologie atte ad arginare l’emergenza sanitaria e ad evitarne la recrudescenza, in Italia si attendono i risultati del vaglio dei progetti presentati al ministero per l’Innovazione. La ministra competente, in audizione presso la commissione Tlc, ha illustrato alcune delle possibili caratteristiche della applicazione che andrà utilizzata, tra cui la volontarietà del suo utilizzo, che dovrá memorizzare l’identificativo dei cellulari e creare un registro dei contatti. Qualora uno dei soggetti venisse certificato come positivo, dovrebbe autorizzare un operatore sanitario a far inviare un alert a tutti i coloro che sono entrati in contatto con lui. È evidente in primo luogo, come stiamo dicendo da giorni, che operativamente il sistema può avere senso se coniugato con una efficace presa in carico da parte del sistema sanitario territoriale del paziente. La tempestività di intervento è infatti uno degli elementi di successo del contenimento dei contagi e le app hanno poco senso se non si ha un monitoraggio puntuale di contagi e guarigioni.

Ma è necessario anche comprendere se l’Italia stia procedendo da sola o se stia in qualche modo mutuando il codice della app che i responsabili del progetto Pan-European Privacy Preserving Proximity Tracing (Pepp-Pt) hanno reso pubblico. Il codice presentato analizza i segnali bluetooth tra cellulari (per rilevare gli utenti che sono stati abbastanza vicini da contagiarsi a vicenda) e memorizza i loro dati temporaneamente su entrambi i telefoni. Qualora uno degli utenti memorizzati dovesse risultare positivo, l’applicazione avvisa chiunque abbia avuto contatti con lui nei giorni precedenti. Il nuovo software europeo risulta peraltro già in sperimentazione a Berlino.

La Ue infatti deve elaborare standard comuni per rendere i dati comparabili ma dichiara che “gli sforzi sono ostacolati dall’attuale frammentazione degli approcci”. Anche in questo campo dunque servirebbe... più Europa. Il richiamo necessario, sia europeo che nazionale, ai temi di garanzia della privacy l’anonimizzazione di dati, la loro crittografazione, l’indicazione del tempo di conservazione, sono poi elementi di primaria importanza ma, a questi, si aggiunge la sicurezza nella gestione degli stessi. Se infatti, come la ministra sostiene, l’intero sistema integrato di contact tracing, con un sistema di codice aperto (open source), deve essere gestito da uno o più soggetti pubblici, quale sia il soggetto pubblico identificato non è banale. Dopo quanto accaduto al sistema Inps pare infatti indispensabile pensare ad un rafforzamento della sicurezza delle piattaforme pubbliche che dovranno gestire i dati ed ad una loro inviolabilità.

E intanto, in attesa di capire come si coniugherà il diritto alla riservatezza con la tecnologia applicata al tracciamento del contagi, anche Facebook, dopo Google, lancia un’iniziativa che punta a condividere i dati in suo possesso con istituzioni, università e ricerca in una serie di Paesi tra cui l’Italia, dati che a quanto pare saranno utilizzati per il contact tracing italiano. Il rapporto tra Stati e OTT torna dunque di attualità. Prima della pandemia la presidente della Commissione Europea, Ursula von Der Leyen, sosteneva la necessità di agire per regolamentare le posizioni dominanti dei monopoli digitali e sosteneva che “In alcuni settori, quelli più globalizzati, la nostra (Ue) analisi delle posizioni di mercato sarà in riferimento al livello mondiale per favorire l'emergere di competitors europei”.

Oggi, alla luce delle accelerazioni prodotte dall’emergenza sanitaria, risulta a nostro avviso attuale il documento con le linee guida e raccomandazioni di policy per i Big Data predisposto nei mesi scorsi dalle autorità indipendenti italiane (Agcom, Antitrust, Garante privacy). Tra le varie raccomandazioni comprese nelle Linee guida, consultabili sui siti ufficiali delle autorità garanti, è certamente attuale quella secondo cui è necessario promuovere una policy unica e trasparente circa l’estrazione, l’accessibilità e l’utilizzo dei dati pubblici al fine della determinazione di politiche pubbliche a vantaggio di imprese e cittadini. Le autorità infatti auspicavano già, in fase di redazione delle linee guida, un coordinamento tra tale policy e le strategie europee già esistenti per la costituzione di un mercato unico digitale. A ciò si aggiunge la evidenziata necessità di “ridurre le asimmetrie informative tra utenti e operatori digitali, nella fase di raccolta dei dati, nonché tra le grandi piattaforme digitali e gli altri operatori che di tali piattaforme si avvalgono”.

Dunque la riflessione, che era opportunamente già in corso, potrebbe fornire oggi le basi per una nuova negoziazione dei rapporti tra governi, Unione Europea e piattaforme digitali OTT.Alla luce dell’emergenza in corso, che sta imponendo misure straordinarie ed inimmaginabili sino a pochi mesi fa, questa necessità di ricondurre a beneficio collettivo, e con le dovute tutele, l’utilizzo dei dati può diventare un elemento di accelerazione di regolamentazioni e normative che riducano l’enorme potere detenuto dai grandi monopoli digitali.L’accelerazione di processi già in essere infatti, determinata dalla pandemia, se non accompagnata da adeguate regolamentazioni avrà come esito una maggiore concentrazione di potere in capo ad aziende private che, con la loro potenza di fuoco tecnologica, potranno tracciare, monitorare, sviluppare modelli predittivi non necessariamente nel rispetto dei diritti dei singoli e a favore della collettività. 

Se dunque il salto tecnologico è diventato imprescindibile e necessario, le istituzioni nazionali e sovranazionali devono essere capaci di non farsi trovare impreparate ed utilizzare la straordinarietà per rispondere in modo davvero adeguato ad una concentrazione di poteri che, come diciamo da tempo, risultava già iniqua prima dell’emergenza.