Oggi, in piena emergenza da Coronavirus, le priorità affrontate sono state la questione sanitaria e l’urgenza di trovare risposte sul fronte del mercato del lavoro; e non poteva che essere così. Ma domani, quando lentamente ci potremo lasciare alle spalle l’allarme e i drammi nati da questa emergenza, quando bisognerà mettere al centro delle politiche pubbliche un ampio programma di rilancio del nostro Paese, dovremo essere capaci di ripartire innanzitutto dai nostri bambini, dai nostri ragazzi, dalle nuove generazioni per dare davvero un futuro a questo Paese. 

Con l’interruzione dell’a.s. 2019-2020, la cui ripresa nei prossimi mesi è molto incerta stando agli attuali dati epidemiologici, gli studenti di ogni età rischiano di accumulare ritardi incolmabili nei loro percorsi formativi. Nel Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 l’unico intervento sull’istruzione del Governo ha riguardato la didattica a distanza: si è limitato a finanziare un sostegno all’acquisto di piattaforme informative o di device individuali per studenti con maggiori difficoltà. 

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Sull’utilizzo della didattica a distanza, le scuole in questi giorni stanno dando risposte diverse, variabili tra e nei territori e fortemente dipendenti da quanto in passato sono state in grado di sviluppare nell’utilizzo delle tecnologie in ambito didattico. Ci sono scuole, specialmente gli istituti secondari di II grado e i licei, che hanno avviato forme di didattica a distanza anche molto avanzate fin dall’inizio dell’emergenza, altre che solo con il passare delle settimane stanno cominciando a coinvolgere gli studenti in una qualche attività di didattica a distanza e altre ancora, mi sentirei di dire la quasi la quasi totalità degli istituti comprensivi, che lo sta facendo in modo occasionale e in assenza di una programmazione specifica. 

Significa che tantissimi studenti, soprattutto nella fascia dell’obbligo, stanno facendo ‘poca scuola’ oppure stanno facendo ‘una scuola’ senza una "didattica in presenza" che, soprattutto per la scuola primaria – e ancor di più per la scuola dell’infanzia -, è quasi imprescindibile per il raggiungimento di esiti di apprendimento. Ciò vale ancor di più per i tanti studenti con carriere scolastiche fragili già prima di questa emergenza che, con molta probabilità, non saranno raggiunti per niente dalla didattica a distanza. Ma vale non solo per loro, vale anche per quegli allievi, specialmente della scuola primaria e della secondaria di I grado – le medie per intenderci – che prima dell’emergenza non avevano difficoltà conclamate, ma che ora, senza maestri e professori a guidarli quotidianamente, rischiano fortemente di scivolare verso l’area dei potenziali "dispersi", cioè di coloro – e sono tanti in Italia (lo sappiamo bene) – che al termine della scuola media non sanno capire un testo di facile comprensione, non sanno elaborare uno scritto di base, hanno difficoltà nei calcoli elementari.  

Al termine di questa emergenza, una delle questioni strategiche per il nostro Paese sarà, dunque, proprio il settore dell’educazione, dell’istruzione e della formazione: il mancato completamento dell’anno scolastico e la fruizione a macchia di leopardo della didattica a distanza accresceranno in modo esponenziale i divari territoriali nei livelli di apprendimento già molto forti in Italia. 

Servirà ancor di più varare quel Piano di contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica che la Cgil chiede da tempo e su cui dovranno concentrarsi quante più risorse disponibili a partire da quelle dell’attuale programmazione 2014-2020, a cui dovranno accompagnarsi risorse ordinarie da stanziare nel quadro di un Provvedimento legislativo ad hoc. Queste risorse andranno utilizzate a partire dal prossimo anno scolastico per un investimento su un Piano strategico di vasta portata che possa riequilibrare gli effetti della crisi in corso, in modo tale che tali effetti non siano moltiplicativi rispetto a condizioni di dislivelli e divari territoriali preesistenti all’emergenza. Un Piano che, considerando il carattere di estrema emergenza e di straordinarietà che sta impattando sul sistema ‘scuola’ nel suo complesso (da 0 a 99 anni), sia in grado di realizzare velocemente e sistematicamente una strategia di intervento per rafforzare il possesso delle competenze di base, potenziare la frequenza scolastica, migliorare gli esiti di apprendimento, contenere dispersione implicita e esplicita, migliorare gli strumenti di inclusione scolastica. 

La Cgil dovrà farsi promotrice di una scommessa culturale non scontata e che finora l’Italia non si è dimostrata capace di percorrere fino in fondo: puntare su quella che si potrebbe chiamare La scuola a 360°’, dai nidi alle scuole dell’infanzia, dalla scuola dell’obbligo ai licei e alla filiera tecnico professionale, dall’Università e dalla ricerca scientifica fino al diritto alla formazione per tutta la vita, soprattutto per lavoratori e lavoratrici che hanno perso il lavoro durante l’emergenza Coronavirus e hanno bisogno di riqualificarsi e trovare una nuova occupazione. 

Un Piano Marshall per la scuola e a favore delle generazioni future, che prenda le mosse valorizzando le professionalità dei tanti docenti, insegnanti, educatori, di tutto il personale della scuola e che quindi non può che vedere protagonisti le organizzazioni sindacali e in primis la Cgil!