L’Emilia-Romagna è, dopo la Lombardia, la regione italiana maggiormente colpita dal Coronavirus. Una tempesta perfetta che, oltre a stremare il sistema sanitario regionale, ha assestato un colpo tremendo a un’economia che aveva finalmente ripreso a correre forte. Oggi, dopo il contagio, quell’economia s’è completamente fermata. Luigi Giove, segretario generale della Cgil regionale, come sta oggi l’Emilia-Romagna?

Dal punto di vista sanitario, nonostante gli sforzi enormi, stiamo vivendo una condizione di grande criticità, soprattutto negli ospedali di Parma e Piacenza. Ma in tutta la regione si continua a registrare un incremento delle ospedalizzazioni e, più specificamente, di ricoveri in terapia intensiva. Siamo già oltre i livelli di sostenibilità. E senza gli interventi che ci sono stati finora per aumentare i posti letto il sistema sanitario sarebbe già collassato. Nel comparto socio-sanitario i lavoratori stanno subendo una sollecitazione enorme, non solo negli ospedali. Anche gli operatori nelle case di cura per anziani sono molto esposti, e il fatto che faranno la quarantena all’interno delle strutture è molto grave.

Dal punto di vista economico, invece, la Regione il 16 marzo ha varato nuove misure per aumentare tutele per lavoratori e imprese, con altre 9 settimane di cassa integrazione in deroga e nuovi fondi per welfare e famiglie. Sono inoltre previste scadenze prorogate e pagamenti anticipati per la ricostruzione post-sisma, così da immettere liquidità e garantire gli investimenti. La scorsa settimana erano state già decise misure per oltre 45 milioni di euro fra fondi regionali straordinari e anticipo di pagamenti. Tutto questo può bastare?

Gli interventi dei governi regionale e nazionale sono quelli possibili in questo momento. La Regione ha fatto uno sforzo enorme, nei limiti del possibile. Non so se basterà, ma è evidente che i danni veri sono stati fatti prima dell’emergenza. Oggi stiamo pagando decenni di tagli alla sanità che dimostrano, in piena emergenza, la loro totale fallacia. Con le politiche economiche degli ultimi vent’anni ci siamo negati la possibilità di avere un ombrello. E oggi quell’ombrello avremmo davvero bisogno di aprirlo. Per quanti sforzi si possano fare, si tratta di sforzi materialmente possibili allo stato attuale. Sapremo solo in seguito se saranno stati sufficienti.

In che condizioni è oggi il tessuto produttivo emiliano-romagnolo?

Al momento non ci sono le condizioni per proseguire un’attività produttiva anche solo vagamente normale. Tra sorveglianze sanitarie, blocchi, quarantene e chiusura delle frontiere, l’Emilia-Romagna si è completamente fermata. La difficoltà negli approvvigionamenti rende complicata la produzione di beni e di servizi. E questa regione negli anni passati ha avuto grandi risultati perché esportava quasi il 50% del Pil regionale. Abbiamo sempre detto che chi voleva chiudere le frontiere era nemico della nostra regione. Ebbene, oggi le frontiere sono chiuse. Tutto questo avrà un impatto devastante sul prodotto interno e sull’occupazione, non solo nell’immediato, ma anche in una prospettiva più lunga. Al momento non possiamo predire quanto durerà questa emergenza, e nemmeno quanto dureranno i suoi effetti.

La Cgil, nonostante tutto, continua a lavorare?

Noi ci siamo posti l’obiettivo, che spero di mantenere, di tenere aperte le sedi concentrando l’attività delle Camere del lavoro territoriali, intercomunali e di zona. Al momento le sedi sono aperte e funzionanti. Ovviamente rispettiamo le procedure di sicurezza, regolando l’accesso al pubblico attraverso gli appuntamenti. La nostra attività non si è mai fermata, anzi è aumentata nelle ultime settimane, perché siamo stati la prima regione a partire con la cassa integrazione in deroga. Le nostre categorie hanno lavorato addirittura più del solito, gestendo migliaia di accordi. Andiamo avanti con grande difficoltà, abbiamo dovuto organizzarci.

Forse è presto, ma bisogna anche ragionare su cosa succederà dopo. Cosa bisognerà fare per dare nuovo slancio all’economia dell’Emilia-Romagna?

Siamo di fronte a un terremoto senza epicentro. Un terremoto che stavolta non investe la realtà fisica, ma fa crollare la società e il sistema delle libertà personali. Un sisma che ci colpisce individualmente, e forse ancora più nel profondo. Nonostante tutto, però, dobbiamo iniziare da subito a ragionare sulla ricostruzione. Noi qui in Emilia Romagna ne sappiamo qualcosa. I nostri sforzi devono essere finalizzati a una buona ricostruzione, puntando sulla qualità della vita, dei servizi pubblici e del lavoro. Il contagio ci ha insegnato che senza un servizio pubblico efficiente non si possono affrontare le difficoltà. È la più grande lezione che possiamo trarre da questa tragedia.