Quando tutto questo sarà finito viene da chiedersi se la parte datoriale di alcune categorie, tra cui figura anche lo Stato, avrà ancora il coraggio di guardare negli occhi questi lavoratori e non rinnovare per anni i loro contratti scaduti, non corrispondergli il giusto salario, non riconoscergli le pause e i riposi che meritano. Se resteranno gli stessi sleali datori di sempre di fronte a tanta lealtà. Una lealtà e uno spirito di servizio come quelli di Anna Santo Stefano, 58 anni, dipendente della Rekeep, l’azienda che gestisce l’appalto delle pulizie dell’Ospedale Spallanzani di Roma. Quello famoso in tutto il mondo perché nei suoi laboratori una ricercatrice precaria ha isolato, per prima, il Coronavirus. Quello dove vanno a finire tutti i casi gravi di contagio della Capitale.

Per venticinque ore la settimana, Anna, part time come la maggior parte dei suoi colleghi, pulisce le sale e i corridoi dei reparti in cui vengono sistemati i pazienti infetti. Il suo stipendio arriva a stento a 800 euro al mese, con gli straordinari. Quello di alcune compagne, part time a 15 ore, si aggira intorno ai 350 euro. Se non credete a quello che leggete, andate a controllare il contratto multiservizi, bloccato dal 2011. O parlate con Anna, che è anche Rsa Filcams Cgil e che da anni si batte, senza riuscire ad ottenerlo, perché anche agli addetti delle pulizie venga riconosciuta quella stessa indennità di rischio che figura nelle buste paga dei dipendenti del nosocomio. La voce non è prevista dal contratto nazionale, che non fa distinzione tra queste situazioni e quelle di colleghi che le pulizie le fanno nelle banche o negli hotel. Del resto lo Spallanzani è stato destinato, fin dalla sua inaugurazione, nel 1936, alla prevenzione, diagnosi e cura delle malattie infettive. Potete solo immaginare i pericoli a cui va incontro chiunque debba lavorare tra le sue corsie, a stretto contatto con i degenti. Comprese le addette alle pulizie.

“Siamo abituati a certi pericoli, ma quando abbiamo compreso la facilità con cui può avvenire il contagio da Coronavirus ci siamo preoccupati. Anche perché ci siamo ritrovati con molti reparti e una grande quantità di pazienti infetti. Ora quasi tutta la struttura è dedicata a questa emergenza. Per questo l’ospedale ha previsto dei corsi di formazione e un protocollo per la vestizione e svestizione che porta via molto tempo e richiede la presenza, a supporto del lavoratore, di altre due persone, un infermiere e un collega”. I dispositivi di prevenzione individuale sono gli stessi del personale sanitario. Basterebbe questo a dimostrare che anche i rischi sono gli stessi. Obbligatoria la divisa monouso, il camice di tnt con i polsi elastici, sul quale tutto scorre e non resta niente. Le protezioni per le scarpe, la visiera di materiale plastico che, abbinata alla mascherina, protegge il volto. La cuffietta per i capelli. Completano la divisa tre paia di guanti, da togliere con una procedura stabilita e in momenti diversi. Gli strumenti per le pulizie sono quasi tutti monouso e occorre prevederne il giusto fabbisogno per ogni ambiente. Gli addetti si preparano, entrano, uno alla volta, nei reparti di degenza in cui si muovono tra i contagiati, puliscono l’ambiente, escono e procedono alla svestizione. “Un compito lungo, impegnativo e pesante – ci racconta Anna –. Si parte dalle maniglie, la cosa principale dove tutti mettono le mani. Le porte, i pavimenti, i comodini, i tavolini, la struttura del letto del paziente. Il bagno. Terminato il lavoro si esce, si butta tutto, tranne gli occhiali che vengono sanificati”.

Un compito fondamentale per preservare l’igiene, per fermare il contagio. Un compito grave affidato a loro, gli unici esseri umani, insieme al personale sanitario, che entrano in quelle stanze e incrociano lo sguardo dei contagiati. “Lo Spallanzani da noi pretende un lavoro perfetto – ci racconta Anna con orgoglio –. Per questo vuole sempre la stessa squadra, già testata e formata. Noi siamo fieri di esserci e non ci siamo mai tirati indietro. Lavoriamo con diligenza e stiamo sempre sul posto. Nessuno si è preso ferie”. Anche se tutto questo comporta dei sacrifici e da qualche tempo Anna ha detto alla figlia, per precauzione, di non portarle più in visita la nipotina.

Sono Anna e tutti gli altri gli eroi di questa storia mesta che non sappiamo ancora quanto durerà. Sono le donne e gli uomini che lavorano nei supermercati assaltati questa notte, che guidano gli autobus, che assicurano i trasporti aerei, ferroviari e navali, che vi servono ai banconi delle farmacie. Sono coloro che tengono in piedi il sistema sanitario. Sono quelli che anche questa mattina sono usciti per recarsi al lavoro, mentre la maggioranza si è chiusa responsabilmente in casa (cercando di capire se verranno garantiti stipendi o ammortizzatori sociali). Sono quelli che accettano di stare a stretto contatto con chi è malato o teme di esserlo o comunque assicurano a tutti il loro servizio essenziale, consci del pericolo che corrono.

Alla fine della telefonata Anna ha un pensiero per tutti. Il suo consiglio è di cambiare le abitudini e i modi di vivere, di avere atteggiamenti corretti e altruisti verso gli altri. Una bella lezione, di coraggio e di senso civico. Buon lavoro e grazie, Anna.