Braccianti stranieri in fuga dai campi per paura del coronavirus. È l’allarme lanciato da Coldiretti in Veneto, mentre la Regione prova a cogliere la palla al balzo per reintrodurre i voucher. E magari sostituire lavoratori rumeni e polacchi con pensionati, studenti e disoccupati. L'emergenza sanitaria che sta paralizzando il nostro Paese produce anche questo, in una delle aree più colpite dal contagio.

Un primo segnale era arrivato dalla Coldiretti nazionale già a fine febbraio, ma il tema è stato ripreso al tavolo sull'agricoltura della Regione Veneto qualche giorno fa. La Romania, da cui proviene la maggior parte dei lavoratori impegnati nelle serre del Nord Italia, ha infatti imposto un periodo di isolamento ai suoi cittadini che rientrano dalle regioni più colpite. Anche Polonia e Bulgaria hanno elaborato misure restrittive per i lavoratori emigrati. I braccianti quindi, secondo gli imprenditori agricoli, si starebbero spostando in altre regioni a caccia di un impiego stagionale, o avrebbero deciso di non rispettare accordi lavorativi già presi, sopratutto in Veneto.

Coldiretti parla di perdite fino a 50 milioni di euro al mese

Coldiretti parla di perdite fino a 50 milioni di euro al mese. La cifra, in realtà, interesserebbe l’intero settore agroalimentare regionale, con una concentrazione particolare nella zona di 'Vo, dove circa 200 aziende agricole coltivano 600 ettari dedicati alla viticoltura e olivicoltura, alimentando anche un indotto turistico notevole. I lavoratori stranieri in fuga dalla regione sarebbero addirittura 65.000. Un’emorragia clamorosa.

“Andiamoci piano con questi numeri - commenta Andrea Gambillara segretario generale della Flai Cgil Veneto -. Stiamo ancora verificando, ma i braccianti che non arriveranno sono molti di meno”. I dati Inps più recenti, in effetti, parlano di complessivi 63.000 braccianti con contratto a termine nel territorio regionale. E solo il 50% di questi non sono italiani. “Le cifre che sono state messe in giro sono forvianti – continua Gambillara – per ora abbiamo identificato poche persone che hanno deciso di non tornare a lavorare, ma non si tratta certo di un fenomeno massivo”. Di sicuro, oggi, ci sono solo “una situazione sanitaria che ha riflessi drammatici sull’economia" e "una campagna mediatica che induce a disdette da parte dei consumatori, con forti effetti negativi sull’export”. Per il momento, insomma, il problema non è la mancanza di manodopera ma le inevitabili ripercussioni sul made in Italy.

Nella zona di Rovigo, in effetti, il fenomeno della fuga dei braccianti è ancora molto limitato e non appare direttamente connesso alla paura del coronavirus. “La raccolta di asparagi da noi non sta subendo contraccolpi - conferma Mauro Baldi segretario della Flai locale -, finora hanno disdetto solo una quarantina di lavoratori su 1.900 circa. Ma una netta diminuzione di braccianti provenienti dalla Romania e dalla Polonia c’è stata anche lo scorso anno, e negli anni precedenti. In moltissimi stanno tornando nel loro Paese perché qui venivano pagati 5 euro l’ora e faticavano anche 200 ore alla settimana”.

I rumeni se ne vanno perché in Veneto vengono sfruttati

I rumeni, insomma, se ne vanno non perché temono il virus, ma perché in Veneto vengono sfruttati. “Tanto che - continua Baldi - ora li stanno sostituendo con i profughi e i richiedenti asilo, che a volte prendono solo 3 euro l’ora. Così le aziende ci guadagnano”.

Neanche in provincia di Venezia si registra la fuga dei migranti. Ma si tratta di un territorio in cui ci sono soprattutto seminativi e vigneti, mentre l’attività di raccolta si concentra soprattutto nella zona di Chioggia per il radicchio. “Da qui non sta scappando nessuno - racconta Paolo Baccaglini della Flai Venezia -, le aziende agricole del territorio investono moltissimo in tecnologia, e il grosso degli stranieri che ci lavorano non sono stagionali ma vivono qui in pianta stabile. Quello che lascia stupefatti è invece che si torni a parlare di voucher, uno strumento che alimenta il lavoro grigio e di certo non attira la manodopera. I dati che abbiamo a disposizione ci dicono infatti l’esatto contrario: dopo l’abolizione le ore lavorate in agricoltura sono aumentate”.

“I dati  ci dicono che dopo l’abolizione dei voucher le ore lavorate sono aumentate

La risposta della Giunta Zaia all’allarme lanciato da Coldiretti, però, prevederebbe proprio la reintroduzione dei buoni lavoro. L’assessore all’agricoltura Giuseppe Pan lo ha proposto alle imprese parlando di “voucher semplificati”, che facciano “partire le raccolte di asparagi, fragole ciliegie e assicurare continuità ai lavori stagionali nei filari e nelle serre”. “Penso a studenti, disoccupati, pensionati, lavoratori stagionali di altri comparti”, ha detto esplicitamente. L'offerta è arrivata dal tavolo regionale sull'agricoltura del 3 marzo, dove tra l'altro c'erano solo le imprese. Oltre a Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Agriveneto, Confcooperative e Legacoop.

Fai, Flai e Uila Veneto, invece, non sono stati invitati. Ma per loro reintrodurre i voucher resta una solenne “stupidaggine”. “Usare il coronavirus per ridurre le tutele, la sicurezza e i diritti dei lavoratori – affermano i sindacati- è un atteggiamento aberrante e inqualificabile”. Servono invece “proposte per garantire ammortizzatori sociali a un settore che ne è privo”, e proposte “per garantire il reddito alle famiglie e incentivare la manodopera a lavorare nel settore agricolo”.

Usare il coronavirus per ridurre le tutele è un atteggiamento aberrante

“La regione – spiega ancora Andrea Gambillara - avrebbe tutti gli strumenti per indagare sugli effetti dell’emergenza virus sull’occupazione, ma non lo fa, e sceglie di rilanciare i voucher. Dovremmo invece agire insieme, con grande attenzione, non solo per gestire la situazione di oggi, ma anche per dotarci di strumenti in grado di rendere l’agricoltura pronta a delle crisi che si fanno sempre più frequenti con i cambiamenti climatici”. Fenomeni che “ci trovano ogni volta impreparati”, ma che dovrebbero “spingere a dotare il comparto di anticorpi strutturali, fatti di tutele sociali ed economiche”. “Da questa emergenza - conclude - possiamo anche trarre qualche lezione. Non certo tornando indietro, ma andando avanti. Altrimenti si rischia di procurare dei danni che si aggiungerebbero a quelli dell’epidemia”. Per questo i sindacati stanno cercando di incontrare le imprese il prima possibile. A breve è prevedibile un primo tavolo tecnico.

Si rischia di procurare dei danni che si aggiungerebbero a quelli dell’epidemia

Il “focolaio” dell’allarme nel frattempo si è già esteso. Sempre secondo la Coldiretti, pure in Trentino sarebbero iniziate le prime disdette da parte dei braccianti. I timori sono tutti legati al fatto che manca poco alla preparazione delle prime attività per la raccolta dei piccoli frutti. E in Trentino sono parecchi i migranti che vengono per lavorare nelle campagne. Nella sola Val di Non, ad esempio, per la raccolta delle mele se ne registrano circa 15 mila. Ma pure da queste parti, a quanto pare, la fuga dai campi non si è ancora concretizzata. Secondo Maurizio Zabbeni, segretario della Flai regionale, “chi ha già iniziato la stagione è ancora qui. Mentre come in Veneto gli arrivi erano in calo già dallo scorso anno”. Per la raccolta 2020, al momento, non ci sono ancora dati che ci possano preoccupare. “Staremo a vedere”, dice.

Il nuovo decreto del governo, varato l'8 marzo, riguarda anche le province di Venezia, Padova e Treviso, che diventano ora "zone rosse". È stato già fortemente criticato dalla Giunta Zaia, e potrebbe anche cambiare ancora una volta le carte in tavola nel reclutamento della manodopera in agricoltura. Lo spettro dei voucher, quindi, continua a incombere sui campi del Veneto.