“L'Italia è un Paese paternalista e maschilista. Si è preferito continuare a fare scelte, come quella della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che richiedono alle donne di essere delle equilibriste. Come se la maternità fosse solo un fatto privato, e non anche un fatto sociale”. A dirlo è Susanna Camusso, responsabile delle Politiche di genere della Cgil nazionale, in un’intervista apparsa oggi (lunedì 30 settembre) su Il Fatto Quotidiano.

Servirebbe, dunque, “un meccanismo paritario di congedo obbligatorio e retribuito per la maternità e la paternità: anche un maschio può allevare un bambino. Ma per far questo occorre cambiare la logica del nostro sistema imprenditoriale, logica in base alla quale le donne sono inaffidabili e sono un costo perché fanno figli e hanno permessi per l'allattamento. Nei colloqui di assunzione le aziende hanno ricominciato a fare certe domande alle candidate, tipo ‘sei fidanzata’, ‘sei sposata’, ‘vuoi fare figli’. C'è il ritorno di un maschilismo violento: siamo rientrati nella grande fiera del pregiudizio”.

Per Camusso le donne sono vittime di “un grande tranello culturale, quello della conciliazione, che di fatto le costringe a conciliarsi solo con se stesse. Tutto con l'idea che la soluzione sia magari qualche permesso retribuito in più. O che bastino due o tre giorni di congedo di paternità per risolvere ogni cosa. Ma ciò che manca davvero è la cultura della condivisione della cura”. L’esponente sindacale sottolinea che “i Comuni non hanno più soldi, l'operazione di decentrare le responsabilità e accentrare le risorse è stata una mannaia per il welfare, calata sugli enti locali con la copertura ideologica dello stato sociale come costo che non possiamo più permetterci. È scattata la stagione delle privatizzazioni, di un modello ideologico e liberista che, taglio dopo taglio, riduce i servizi facendo esplodere costi che le madri lavoratrici non riescono ad assorbire”.

Per la responsabile Cgil “i bonus mamma sono stati un altro escamotage per non mettere mano al miglioramento dei servizi. Quelle risorse avrebbero potuto e dovuto essere usate per gli asili nido e per l'assistenza agli anziani, due facce dello stesso problema per le donne: il carico che grava sulle loro spalle. In Lombardia abbiamo fatto un’indagine sulla continuità lavorativa femminile. Ci sono due interruzioni: intorno ai 40 anni, per la cura di un bimbo, e oltre i 50, per l'assistenza a un anziano”.