“Siamo usciti dalla recessione? Decisamente no, perché non può bastare un piccolo segno più al Pil, +0,2%, nel primo trimestre del 2019, per sostenerlo”. È quanto ha affermato Cristian Perniciano, area politiche dello sviluppo della Cgil, oggi ai microfoni di ‘Economisti erranti’, la rubrica di RadioArticolo1.

 

“Oltretutto, i numeri che preoccupano sono quelli legati all’occupazione, perché è difficile che un Paese possa uscire dalla recessione quando la domanda interna è praticamente pari a zero, quando aumenta la stagnazione dei salari e mancano un miliardo di ore lavorate rispetto a dieci anni fa. Non solo. Nel Def è previsto che la disoccupazione aumenti e che i salari diminuiscano rispetto al Pil e che si continui a puntare verso l’export, malgrado dopo Brexit, Russia, Cina e dazi di Trump, anche il puntare verso l’estero non sia più una certezza come in passato. Il governo continua ad agire verso la svalutazione competitiva, quindi meno salari, meno occupazione, il contrario di ciò che serve: maggiori investimenti, più occupazione, meno tassi su lavoro e pensioni, insomma puntare sulla domanda interna, come la Cgil, ma ormai tutte e tre le confederazioni in modo unitario, ripetono da tempo”, ha sostenuto Perniciano.

Così Angelantonio Viscione, assegnista di ricerca in economia politica dell’università del Sannio: “I provvedimenti del governo, quali decreto crescita, sblocca cantieri, reddito di cittadinanza, quota 100, sono tutti orientati sul versante dell’offerta e quindi non vanno ad agire sulla domanda, dove invece si registrano le vere carenze del Paese. Per stimolare la domanda, dovremmo raddoppiare gli investimenti pubblici in termini di miliardi. Spostando risorse sugli investimenti, gli effetti sarebbero molto positivi, perché le spese in conto capitale danno un contributo maggiore al Pil e il debito pubblico diventa più sostenibile. Al contrario, il governo intende agire sulla flat tax, che è fortemente regressiva, in quanto sottrae risorse, anziché aumentarle. Oltretutto, mi auguro che non aumenti l’Iva, malgrado il Def preveda il contrario”.

Abbiamo due grandi incognite sulle spalle: la prima si chiama debito pubblico, in continua ascesa, che significa aumento della spesa improduttiva per interessi e che incide sull’effetto spread. "L’altra, sono le clausole Iva, una spada di Damocle sulla testa di tutti gli italiani. Ovviamente il problema non è il debito in sé, ma come si spendono i soldi. Se ci fosse crescita, il debito sarebbe un problema molto inferiore. Dopodichè, ci sono quei 23 miliardi di Iva che pendono e che rendono poco credibili tanti progetti e tante promesse che si fanno in questi giorni. Soprattutto, come si fa a prevedere una flat tax e disinnescare la bomba Iva, che vuol dire nuovi tagli e nuove tasse, in un Paese in recessione o comunque in stagnazione, con l’economia ferma, senza proposte d’investimenti, senza piani di creazione diretta del lavoro e senza sostegni fiscali?”, ha concluso Perniciano.