Nel nostro Paese esiste una correlazione fra bassi salari, sistema fiscale e lenta crescita. "Da oltre 25 anni, siamo in una stagnazione secolare, perchè la produttività non aumenta e in questo arco di tempo sono state fatte quattro pesanti manovre di risanamento, che si sono tradotte in una riduzione degli investimenti a lungo termine. Poi è intervenuta la crisi mondiale, che in Italia e in Europa ha comportato due recessioni, che hanno tagliato la domanda e il potere d’acquisto dei salari”. È quanto ha detto Vincenzo Russo, docente di Scienza delle finanze all’Università La Sapienza di Roma, oggi ai microfoni di "Economisti erranti", la rubrica settimanale di RadioArticolo1.

 

Nella situazione drammatica in cui siamo, con un tasso di crescita vicino allo zero, se non addirittura negativo, parlare di riduzione d’imposte per famiglie e imprese si traduce in un aumento di deficit pubblico, che ci esporrebbe al rischio della procedura per deficit eccessivo. "Questo, a prescindere dalla flat tax. Ciò che serve è una lotta all’evasione fiscale, cosa che potrebbe compensare eventuali sgravi a famiglie, lavoratori dipendenti e pensionati, di gran lunga i più tartassati di tutti, oppure un incremento della fiscalità a carico delle imprese, la cui pressione fiscale - fonte Il Sole 24-Ore - è più bassa della media dei paesi Ocse, avendo ricevuto l’industria sostanziali incentivi per l’acquisto di macchinari e quant’altro”, ha rilevato Russo.

Le diseguaglianze pesano sulla mancata crescita del Paese, perché hanno comportato l’aumento della povertà assoluta e l’impoverimento della classe media, con una riduzione del loro poter d’acquisto. "Sulla patrimoniale sono d’accordo, al pari di tutti gli economisti a livello mondiale, così come sono favorevole alla reintroduzione di un’imposta sulla prima casa - con le opportune detrazioni per le famiglie più povere -, perché non trovo corretto che gente con redditi medio-alti non debba pagare un’imposta sula proprietà immobiliare, che andrebbe ai comuni, peraltro, che devono finanziare un welfare aggiuntivo. Sul’Irpef, bisogna abbassare l’aliquota iniziale al 23%, che è troppo alta, e alzare quella al 47% sui redditi più elevati. Insomma, c’è bisogno di un’operazione di redistribuzione fiscale, visto che sono aumentate le tasse per i redditi più bassi e, viceversa, sono diminuite quelle per i redditi più alti”, ha aggiunto Russo.

“Noi pensiamo che grazie al Piano del lavoro, alla Carta dei diritti e a una nuova stagione di contrattazione con l’aumento dei salari lordi si può rilanciare il Paese. Poi si può incrementare il salario netto, così come le pensioni, attraverso la leva fiscale, con la diminuzione delle imposte per lavoratori dipendenti e pensionati. È evidente, che mentre nel primo caso siamo protagonisti, nel secondo, invece, non siamo noi che decidiamo e quindi chiediamo un tavolo di confronto col governo per cambiare politica fiscale, eliminando la flat tax, che abbassa le tasse ai ricchi”, ha sostenuto nell'ambito della stessa trasmissione Cristian Perniciano, area Politiche di sviluppo della Cgil nazionale.

“Puntiamo a una piattaforma che incrementi i redditi netti di dipendenti e pensionati, con la modifica delle detrazioni - gli sconti che spettano ai singoli contribuenti - riducendo le imposte e mantenendo la progressività. Poi pensiamo a un’imposta sulla ricchezza, contro le diseguaglianze per la solidarietà fiscale, una sorta di patrimoniale, perché in Italia c’è una concentrazione di patrimoni spaventosa, dove il 5% delle famiglie più ricche ha il 40% del patrimonio totale, il 10% delle famiglie più ricche detiene il 55% del patrimonio finanziario nel suo complesso, con una media procapite di 740.000 euro, secondo un’analisi della Banca d’Italia. Smontare i patrimoni finanziari concentrati equivale a liberare risorse per investimenti e lavoro, rendendo così la ricchezza produttiva”, ha concluso Perniciano.