È il decreto legislativo luogotenenziale del 1° febbraio 1945 (n. 23) a riconoscere alle maggiorenni di 21 anni il diritto di voto attivo, mentre il decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74 riconoscerà alle donne maggiori di 25 anni il diritto di voto passivo.

Le uniche a essere escluse dal diritto di voto attivo saranno le donne citate nell’articolo 354 del regolamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza cioè "le prostitute schedate che lavorano al di fuori delle case dove è loro concesso esercitare la professione".

La strada per il riconoscimento del diritto di voto alle donne è stata lunga e piena di ostacoli. Una storia che inizia assai prima di quello che molte ricordano come “un giorno bellissimo”.

Punto di arrivo di un percorso lungo e tortuoso, il riconoscimento del diritto di voto alle donne in Italia prende le mosse dallo Statuto Albertino (Costituzione adottata dal Regno di Sardegna il 4 marzo 1848 a Torino), che all’articolo 24 recitava: “Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi”. Una di queste eccezioni riguardava le donne, anche se non in modo esplicito.

Nel 1877, Anna Maria Mozzoni presenta al governo la prima di una lunga serie di petizioni per il voto politico alle donne che sarà bocciata, nello stesso momento le donne che ne hanno i requisiti prescritti dalla legge cominciano ad essere iscritte nelle liste elettorali (nel 1867 il deputato Salvatore Morelli presentava un primo disegno di legge per consentire il voto alle donne dal titolo ‘Abolizione della schiavitù domestica con la reintegrazione giuridica della donna, accordando alla donna i diritti civili e politici’. La proposta, respinta con voto della Camera dei deputati, sarà ripresentata nel 1875).

Intanto le Corti di appello cominciano a trovarsi nella condizione di dover bocciare il riconoscimento dell’elettorato politico alle donne che alcune Commissioni elettorali provinciali accolgono (la Corte di appello di Ancona presieduta da Lodovico Mortara sarà l’unica ad accogliere nel 1906 la richiesta di inclusione delle donne nelle liste elettorali presentata da nove maestre di Senigallia e da una di Montemarciano. Al terzo e definitivo grado di giudizio la sentenza sarà comunque rovesciata. Così la Corte di appello di Firenze giustificherà il respingimento della richiesta: “Potrebbe avvenire che una maggioranza di donne venisse a formarsi in Parlamento, che coalizzandosi contro il sesso maschile, obbligasse il Capo dello Stato, scrupoloso osservatore delle buone norme costituzionali, a scegliere nel suo seno i consiglieri della Corona, e dare così al mondo civile il nuovo e bizzarro spettacolo di un governo di donne, con quanto prestigio e utilità del nostro paese è facile ad ognuno immaginarsi”).

Nel maggio del 1912 durante la discussione del progetto di legge della riforma elettorale, che avrebbe esteso il voto anche agli analfabeti maschi, i deputati Giuseppe Mirabelli, Claudio Treves, Filippo Turati e Sidney Sonnino proporranno un emendamento per concedere il voto anche alle donne. Giolitti vi si opporrà strenuamente, definendolo un salto nel buio. La questione, rimandata all’esame di un’apposita commissione, sarà accantonata.

Dopo la triste parentesi fascista, le prime elezioni - amministrative e politiche - in Italia si svolgono nel 1946.  

Così Nilde Iotti ricordava la prima volta delle donne al voto: “Sentivano la gioia di essere finalmente libere, come italiane e come donne, e quella scheda su cui mani incerte o sicure tracciavano una croce, era per loro un simbolo di democrazia, di libertà e di aspirazione finalmente realizzate”.

“Lunghissima attesa davanti ai seggi elettorali - scriveva Lia Garofalo in Le italiane in Italia - Sembra di essere tornati alle code per l’acqua e per i generi razionati. Abbiamo tutte nel petto un vuoto da giorni d’esame, ripassiamo mentalmente la lezione: quel simbolo, quel segno, una crocetta accanto al nome. Stringiamo le schede come biglietti d’amore. Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di donne timorose di stancarsi e molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione. Le conversazioni che nascono tra donne e uomini hanno un tono diverso, alla pari”.

Diceva nel 2007 Marisa Rodano in occasione della presentazione del libro Le donne della Costituente:

La vera novità era che di quell’assemblea facevano parte 21 donne. Anche in questo caso si incontravano generazioni ed esperienze diverse: donne già mature, nate nell’ultimo quindicennio dell’800 e nei primissimi anni del ‘900, che avevano combattuto contro il regime prima della marcia su Roma o che avevano dovuto abbandonare l’impegno politico dopo l’avvento del fascismo, per sostituirlo con la militanza nelle associazioni cattoliche o di beneficenza; donne provenienti dalla Resistenza come Nilde Iotti, Teresa Mattei, Laura Bianchini, Bianca Bianchi, Maria Maddalena Rossi. Alcune erano giovanissime. Teresa Mattei, Nilde Iotti e Angiola Minella avevano poco più di 25 anni; Filomena Delli Castelli e Nadia Spano - che proveniva dalla Tunisia - ne avevano 30. La novità non era soltanto che per la prima volta, in Italia, vi erano donne elette in un consesso parlamentare, ma che quelle donne hanno impresso un segno significativo nella Carta fondamentale che sta alla base dell’ordinamento della Repubblica. Di certo, che vi fossero donne in quell’assemblea era, di per sé, un fatto straordinario; coronava decenni e decenni di lotta dei movimenti femminili e femministi e di iniziative nel Parlamento prima del fascismo. Un diritto che venne riconosciuto in extremis nell’ultimo giorno utile per la composizione delle liste elettorali, alla fine del gennaio ‘45, ma che non fu, come taluno sostiene, una benevola concessione, ma il doveroso riconoscimento del contributo determinante che le donne, con le armi in pugno e soprattutto con una diffusa azione di massa, di sostegno alla Resistenza, avevano dato alla liberazione del Paese.

Non dimentichiamolo.