Doppio sostegno a Obama: Economist e Financial Times
Altri due endorsement pesanti per Barack Obama. Dopo il New York Times e il Washington Post, questa settimana è venuto il turno dell’Economist e del Financial Times, organi d’informazione britannici liberisti, liberali e ovviamente molto autorevoli nei salotti che contano. Cominciamo dalla dichiarazione di sostegno più fresca, quella che l’Economist ha lanciato dalla sua copertina il 30 ottobre.

"It's time": è il momento. Questo il titolo scelto dall’Economist, e accompagnato da un’immagine di Obama che avanza fiducioso verso l’avvenire. L'Economist – leggiamo nell’editoriale - dà "con tutto il suo cuore" l'endorsement al candidato democratico che "ha chiaramente dimostrato di offrire una possibilità migliore di restaurare la fiducia dell'America". Una fiducia non priva di dubbi, quella del settimanale economico britannico, che infatti riconosce che si "tratta di una scommessa: considerata l'inesperienza, la mancanza di chiarezza di alcuni punti del programma di Obama (...) votarlo è un rischio: ma è un rischio che l'America deve prendere per andare avanti".

Per l'Economist ad ogni modo il senatore afroamericano è stato molto più convincente di John McCain nel prospettare un "futuro migliore per l'America e il mondo". Senza contare che "ha portato avanti la campagna elettorale con più stile, intelligenza e disciplina del suo avversario" e per questo "merita la presidenza". Ma i compiti elencati dall’Economist sono durissimi: “rimettere in piedi l’economia dell’America e la sua reputazione internazionale. La crisi finanziaria è lontana dall’essere conclusa. Gli Stati Uniti sono al principio di una recessione dolorosa. (...) Cinquanta milioni di americani hanno una copertura sanitaria ridicola. All’estero, sebbene i soldati stiamo morendo in due paesi, il modo torpido in cui George Bush ha condotto la sua guerra al terrore ha fatto dell’America un paese assai meno temuto dai suoi nemici e assai meno ammirato dai suoi alleati di quanto non fosse un tempo” .

Anche il Financial Times dichiara il suo sostegno per il candidato democratico alle elezioni presidenziali americane. 'Obama è la scelta migliore' si legge sulla prima pagina del 27 ottobre del quotidiano londinese, che dedica un editoriale alle ragioni dell'endorsement'. “Il democratico ha i numeri per essere un buon presidente... Abbiamo scoperto molte cose su Barack Obama e John McCain durante questa campagna. Per noi sono sufficienti per essere fiduciosi che Obama sia la scelta giusta', si legge nell'editoriale. 'A una settimana dal voto, non riteniamo che si tratti di un testa a testa', spiega il Ft, sottolineando che Obama ha 'combattuto una campagna molto migliore' rispetto a quella del suo rivale McCain. 'Dopo otto anni di George W. Bush, la competenza costante dimostrata da Obama impone rispetto', aggiunge il quotidiano britannico precisando che sui contenuti del programma di Obama, 'per la maggior parte corretti, si dà il beneficio del dubbio'. Se le proposte di politica interna sono corrette, sul commercio il Financial Times si mostra più perplesso.

Preferite il pollo o …? Curioso appello al voto indipendente
Secondo gli ultimi sondaggi, il vantaggio di Obama sul repubblicano McCain è di circa 5 punti percentuali. Ma le stime oscillano e più i due avversari si avvicinano più giornali, televisioni e radio si concentrano sul grande enigma elettorale: dove andranno i voti degli indecisi? Una risposta prova a darla – con pungente ironia – David Sedaris dalle colonne della storica rivista The New Yorker. “Non so se è sempre stato così, ma stando a quanto ricordo, man mano che ci si avvicina alle settimane finali della campagna elettorale l’attenzione si sposta sugli elettori indecisi. Chi sono? – si chiedono i conduttori tv – e come potrebbero determinare il risultato di questa elezione?”

Sedaris racconta l’indeciso che appare in televisione – una donna o un uomo – molto contento della sua comparsata che spiega il perché e il per come non riesca a decidersi: “Alcuni addirittura insistono sul fatto che la differenza tra il candidato A e quello B è molto sottile. Altri raccontano di essere con A per la sicurezza e la sanità e con B per l’economia. Saranno attori professionisti? – si chiede Sedaris oppure solo gente in cerca di attenzione?”.

Il giornalista proprio non riesce a spiegarsi tanta incertezza, soprattutto in queste elezioni. Insomma non c’è nulla da essere confusi: è un po’ come se uno fosse indeciso davanti alla hostess di un aereo che mentre serve il pranzo chiede al viaggiatore: “Gradirebbe il pollo? O in alternativa preferirebbe un piatto di cacca con pezzetti di vetro rotto?” “Mi chiedo - conclude Sedaris – se, alla fin fine, gli indecisi non siano i più pessimisti di tutti. Si potrebbe ordinare il pollo ma poi di nuovo, perché compiere quei passi in più – e cioè masticare, digerire e poi espellere” a quel punto per loro è meglio passare al prodotto finale.

Obama cerca il voto ispanico: Sí, se puede
Nell’Ovest degli Stati Uniti i latinoamericani devono portare Obama alla vittoria. È questa la strategia elettorale del candidato democratico negli stati determinanti del Nevada, Colorado e New Mexico. La ricostruisce un servizio di Georg Peter Schmitz, inviato a Las Vegas del settimanale tedesco Der Spiegel. Il giornalista tedesco ha fatto scalo nella città dei casinò e di CSI in occasione di un comizio elettorale di Obama. L’appuntamento è alla “Bonanza High School”. Il leader afroamericano parlerà in un quartiere molto lontano dal luccichio e dalle strade dei soldi facili. Un quartiere – scrive lo Spiegel – che è un po’ “il retrobottega di Las Vegas, dove vivono i latini che ogni giorno scompaiono nella pancia dei casinò, dove vanno a fare i portieri, gli uomini delle pulizie, gli sguatteri e le cameriere”. “Rispetto alle ultime elezioni il numero degli ispanici registrati nelle liste elettorali è raddoppiato – avverte lo Spiegel -, arrivando quasi al 10% dell’elettorato. I latini sono quindi la chiave della ‘Western Strategy’ di Obama. L’obiettivo è vincere in Nevada, New Mexico e Colorado, tre stati federali dell’Ovest dove quattro anni fa George W. Bush vinse per un pelo e dove però il democratico al momento è nettamente in testa nei sondaggi. Chi vince qui – spiega lo Spiegel – può controbilanciare il voto di collegi elettorali pesanti come Ohio e Pennsylvania”. “Dunque, nella città dei giocatori, Obama si gioca la fortuna.”

Quando Obama sale sul palco illuminatissimo della “Bonanza High School” – scrive lo Spiegel – “inizia a parlare ad alta voce di cambiamento, di speranza, della grandezza dell’America, per trenta minuti, e dice: “Sí, se puede” il suo “Yes, we can” in spagnolo. I circa 18 mila presenti lo applaudono ispirati. Molti di loro sono immigrati nella regione ai tempi del suo boom – Las Vegas è una delle città cresciute più rapidamente nella zona. Lavorano nei casinò, dove però non tutto luccica come prima. Il numero dei clienti si è quasi dimezzato nel corso di un anno, e in città le aste giudiziali sono tante come in nessun altro posto della nazione. Le strade attorno alla Bonanza High School – annota il giornalista – sono piene di case vuote”.
Un ragazzo intervistato dallo Spiegel spiega: “Noi latinos siamo preoccupati per l’economia, e Obama difende i valori che noi latinos comprendiamo: lavoro duro, sindacato, spirito di gruppo, famiglia”. Forse il senatore dell’Illinois è davvero la persona giusta per loro, soprattutto quando li arringa dal palco con queste parole: “Vogliamo una politica che faccia emergere ogni americano. Non solo i proprietari di casinò, ma anche chi ci lavora”.

Canada. Il raccolto amaro degli immigrati
Il quotidiano canadese The Star prosegue la sua inchiesta sui braccianti agricoli immigrati, una ricerca iniziata un anno fa per raccontare le difficoltà di questi lavoratori. L’articolo è stato pubblicato il 28 ottobre scorso a firma di Evelyn Encalada Grez, una ricercatrice esperta di lavoro agricolo femminile e cofondatrice dell’associazione Justicia for Migrant Workers. Il suo resoconto parte dalle vicende di Laura, un’operaia messicana addetta alla raccolta delle mele in Ontario che ha avuto la sfortuna di essere vittima di un incidente sul lavoro.

Leggiamo il racconto della Grez: “Sono andata a prendere Laura insieme a due poliziotti nell’azienda in cui lavorava. Abbiamo lasciato la ditta in una fretta tale che abbiamo preso alla rinfusa i suoi effetti personali e li abbiamo messi in alcune buste di plastica. Era una missione di salvataggio che ricordava più da vicino la scena di un crimine.” Tra le lacrime, Laura lascia l’azienda con l’aiuto della Grez. Arrivata dal Messico con un permesso di soggiorno temporaneo, reso possibile grazie a un accordo che regola l’immigrazione di lavoratori stagionali dal paese dell’America Latina, Laura rischia di perdere tutto: il lavoro, il permesso, i soldi. “Il suo crimine – spiega la Grez - era di essersi ferita sul lavoro. Aveva perso l’equilibrio, cadendo da un trattore che le aveva spezzato le gambe. Appena aveva ripreso coscienza, dopo il primo intervento chirurgico, un funzionario del consolato messicano aveva iniziato a minacciarla.” Le minacce servivano a farle firmare dei moduli con cui Laura rinunciava ai suoi diritti di lavoratrice in Canada e acconsentiva a tornare immediatamente nel villaggio rurale da dove proveniva, nello stato di Puebla, vicino Città del Messico. Un espediente che avrebbe evitato al suo datore di lavoro canadese guai e spese. Ma l’associazione della Grez l’aveva aiutata e le aveva consigliato di non firmare. Ecco il perché della missione di salvataggio. Come spiega la ricercatrice, cofondatrice dell’Associazione Justicia for Migrant Workers. “Il datore di lavoro era infuriato, aveva atteggiamenti violenti, ci aveva detto che il capo era lui e che quindi era l’unico a potere decidere cosa fare o meno dei suoi lavoratori. L’unico modo per assicurarsi che Laura non venisse rimpatriata contro la sua volontà era andare a prenderla nell’azienda agricola e farlo insieme alla polizia, visto che quella era proprietà privata.”

La storia di Laura, che vi abbiamo appena raccontato grazie all’articolo del quotidiano canadese The Star, parla di vicende comuni a molti lavoratori migranti, arrivati in Canada dal Messico. Una realtà nascosta e taciuta e, soprattutto, una realtà che danneggia le donne operaie. “Molte di loro – conclude l’articolo della Grez – cercano di mantenere il loro posto di lavoro, il loro permesso di soggiorno temporaneo, perché il salario serve a far sopravvivere i loro figli e le loro famiglie in Messico. La maggior parte sogna di far uscire dalla povertà e attraverso un’istruzione migliore i propri ragazzi. A volte migrano per sfuggire alla violenza, per finire poi per trovarla di nuovo in un contesto diverso e con protagonisti differenti.”

A Manila il II Forum Globale su Migrazione e sviluppo
Torniamo a parlare di crisi finanziaria e di immigrazione. Si è tenuto questa settimana a Manila, nelle Filippine, il secondo Forum Globale su Migrazione e Sviluppo. 220 delegati da tutto il mondo si sono confrontati sui diritti di oltre 200 milioni di migranti. In un momento in cui la crisi economica colpisce con particolare veemenza le prospettive dei lavoratori, il forum è partito proprio dalle stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro - che prevede la perdita di 20 milioni di posti di lavoro - per chiedere una nuova architettura globale dove la mobilità dei lavoratori offra opportunità e non sfruttamento. La migrazione deve essere una scelta libera e informata -hanno concluso i delegati - anche perché può contribuire allo sviluppo. Sharon Burrow, presidente della Confederazione Sindacale Internazionale, che ha partecipato all’incontro, ha invitato i governi a non contrastare la crisi con provvedimenti restrittivi, una strategia adottata in occasione del precedente crollo asiatico del 1997. Per la Burrow: “è probabile che i lavoratori migranti saranno i primi a perdere il proprio lavoro, visto che operano in settori duramente colpiti come quello delle costruzioni. Ma la strategia giusta per affrontare la recessione sono nuove regole, una nuova trasparenza e un sistema che assicuri diritti e protezioni per chi migra.” L’intero discorso della Burrow è consultabile online sul sito della Confederazione sindacale internazionale www.ituc-csi.org