“Aspettavamo questo momento da otto anni”. Sono le parole dei genitori di Giulio Regeni nella giornata che ha visto dare il via al processo, presso la Corte d’Assise di Roma, per la morte del giovane ricercatore avvenuta al Cairo nel gennaio 2016 dopo l’arresto da parte delle forze dell’ordine egiziane e le torture subite in carcere. Il corpo martoriato di Giulio fu trovato sul ciglio di una strada. Da lì depistaggi e resistenze egiziane, generate dal coinvolgimento delle autorità del Cairo, hanno fatto in modo che i colpevoli di quel crimine non venissero prima identificati e poi portati in giudizio. Oggi (20 febbraio) l’inizio del dibattimento che è però stato rinviato al 18 marzo per l'esame di alcune eccezioni preliminari.

Concorso in lesioni personali aggravate, omicidio aggravato e sequestro di persona aggravato sono i capi d’imputazione per i quali, a seconda delle diverse posizioni, sono a giudizio i quattro agenti della National Security egiziana: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif.

L’iter giudiziario è stato più che tortuoso e ha messo a dura prova i familiari di Regeni i quali hanno sempre perseverato nell’esigere verità e giustizia per il figlio, supportati anche dalle associazioni umanitarie e dalla società civile. La Consulta, nel settembre scorso, ha sbloccato la situazione definendo inaccettabile la paralisi del processo e stabilendo che, pur a fronte dell’irreperibilità dei funzionati egiziani indagati, si può comunque procedere per reato di tortura, anche se non c’è la collaborazione da parte dello Stato estero.

È stato infatti ritenuto illegittimo un articolo del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il giudice proceda in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell'imputato, è impossibile avere la prova che quest'ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo.

Questo processo potrebbe anche avere la particolarità di vedere sfilare come testi ex premier, ex ministri, e funzionari dello Stato italiano che hanno ricoperto, all'epoca dell’omicidio, ruoli apicali nei servizi di sicurezza e alla Farnesina. Nelle liste depositate dalle parti processuali compaiono infatti i nomi di Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Marco Minniti, Elisabetta Belloni e dell’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi.

È stata inoltre chiesta la convocazione nella sede del tribunale di piazzale Clodio a Roma dell'attuale presidente della Repubblica egiziana, Abdel Fattah al-Sisi. La Presidenza del consiglio si è costituita parte civile nel processo, sollecitando, in caso di condanna degli imputati, un risarcimento di due milioni di euro.

“Finalmente speriamo che questo processo possa partire – hanno dichiarato attraverso la propria legale i genitori di Giulio Regeni arrivando in tribunale –. Sono state sollevate le questioni preliminari che erano già state rigettate in tutte le altre aule e quindi speriamo, dopo la decisione della Corte Costituzionale che rafforza molto la nostra posizione, di poter avere un processo contro chi ha fatto tutto il male del mondo a Giulio".