Sfiora l’80% il numero dei Paesi aderenti all’Onu che hanno già riconosciuto o annunciato di volere riconoscere lo stato di Palestina. Ieri (22 settembre) nel Palazzo di Vetro di New York una decina di questi ha annunciato formalmente il suo riconoscimento nella conferenza convocata ad hoc da Francia e Arabia Saudita.

Alla fine dello scorso settembre il presidente francese, Emmanuel Macron, aveva annunciato, suscitando polemiche e reazioni contrarie, la decisione. Da allora altri Paesi hanno deciso di seguire Parigi. Il caso più significativo quello della Gran Bretagna, ma anche Canada, Portogallo, Australia e poi la Finlandia, il Belgio, il Lussemburgo, la Nuova Zelanda, Malta e persino San Marino, Andorra e il Principato di Monaco.

Si arriva così a oltre 150 Paesi su 193 membri delle Nazioni Unite e lo si deve a un estremo tentativo di indurre Israele e chi lo sostiene a porre fine alla strage di palestinesi in corso a Gaza. Tel Aviv e Washington non l’hanno presa per nulla bene (tanto che i rappresentanti non erano presenti in aula durante l’intervento di Macron) e forse è proprio per questo che l’Italia, insieme alla Germania, ha detto no al riconoscimento. Il presidente israeliano, Benjamin Netnyahu, ha affermato che la decisione presa dagli Stati membri dell’Onu è “una ricompensa al terrorismo” e che la soluzione “due popoli due Stati” non si realizzerà.

La presidenza statunitense, guidata da Donald Trump, è dello stesso parere, ma già era noto, visto che ha utilizzato il suo diritto di veto al Consiglio di sicurezza sull'adesione piena della Palestina alle Nazioni Unite e ha negato il visto d’ingresso al presidente palestinese Abu Mazen e ad altri funzionari per partecipare all’Assemblea generale. 

Inoltre il Dipartimento di Stato americano ha definito la mossa dei riconoscimenti dello Stato palestinese “puramente simbolica”. Certo che c’è del simbolismo nei (tardivi) annunci, che invece sarebbero stati necessari alcuni decenni or sono, ma il simbolismo necessita di interpretazioni, tra le quali quella di una presa di posizione diversa rispetto agli Usa e ad alcuni Paesi membri dell’Onu.

Venendo all’Italia, dove il governo Meloni, anche in questo caso tardivamente, ha condannato le atrocità commesse dagli israeliani nella Striscia, ha firmato con altri 140 Paesi la dichiarazione Onu per la soluzione dei due Stati, ma senza spingersi al riconoscimento della Palestina ritenuto “prematuro”, secondo l’espressione usata dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Un governo chiaramente sordo al clamore sollevato dalle affollate piazze italiane negli ultimi giorni che chiedono lo stop al genocidio, lo stop ai commerci con Israele e il tempestivo riconoscimento della Palestina come Stato. Si potrebbero individuare diverse motivazioni nelle scelte di Palazzo Chigi, ma quella che risalta risiede nelle relazioni e le collaborazioni commerciali dell’Italia con Tel Aviv soprattutto nel campo tecnologico, della difesa e della farmaceutica.

Le reazioni più o meno concrete alle posizioni assunte da tanti Paesi Onu potrebbero essere concordate da Netanyahu e Trump nel vertice previsto per il 29 settembre alla Casa Bianca, durante il quale, però, il piatto forte potrebbe essere il futuro sulla terra dei palestinesi, su quella Striscia che il ministro israeliano Smotrich ha definito “una miniera d’oro dal punto di vista immobiliare”, non negando che sulla trasformazione post-genocidio di Gaza i contatti con gli Stati uniti sono già in atto.