“Siamo inorriditi”, è la dichiarazione che meglio sintetizza l’effetto emotivo che ha prodotto l’uccisione a Gaza di cento persone e il ferimento di altre 750 mentre erano in attesa degli aiuti umanitari. È la dottoressa Isabelle Defourny, presidente di Medici Senza Frontiere, a esprimere l’orrore aggiungendo che “le forze israeliane avrebbero aperto il fuoco contro palestinesi in fila per ricevere cibo dai camion carichi di aiuti”.

Una situazione catastrofica

Il portavoce militare israeliano, respingendo le responsabilità delle sue truppe, ha affermato che i soldati hanno aperto il fuoco dopo che "durante l'ingresso dei camion degli aiuti nel nord di Gaza, i residenti hanno circondato i camion" e "hanno saccheggiato le forniture". Si tratta della prova provata dello stremo e della fame in cui versa la popolazione palestinese, con il numero di camion di aiuti umanitari in arrivo altamente al di sotto del loro fabbisogno. 

La situazione umanitaria nella Striscia è catastrofica, affermano da Msf, raccontando che il loro personale ha fatto sapere di non aver abbastanza cibo da mangiare e che alcuni consumano cibo per animali per sopravvivere. Viene riferito anche della “mancanza di acqua e quando c’è è contaminata e quindi causa di malattie”. Affamare la popolazione fa parte, insieme alle azioni militari, della strategia di guerra israeliana, che vede anche “la distruzione sistematica delle capacità di sostentamento derivanti da agricoltura, pastorizia e pesca”.

L’allarme dell’Onu

Anche dalle Nazioni unite giunge l’allarme: una persona su quattro muore di fame e in alcune zone nove famiglie su dieci trascorrono lunghi periodi senza accesso al cibo. La prospettiva è che in pochi giorni si raggiunga un alto livello di insicurezza alimentare per tutti gli abitanti di Gaza. Ma è sempre l’Onu, il suo Consiglio di sicurezza a non adottare alcuna risoluzione per protegge i palestinesi, per fermare il massacro voluto dal premier Benjamin Netanyahu, dopo la strage terroristica compiuta da Hamas, e che è lecito supporre non sarebbe mai stato consentito da parte della comunità internazionale ad altro capo di governo.

Ieri, al Palazzo di vetro di New York, è stata respinta la bozza di documento che esprimeva "profonda preoccupazione" e sottolineava "la necessità di adottare tutte le misure necessarie per proteggere i civili e le infrastrutture civili". Nemmeno tale tiepida dichiarazione ha ricevuto i consensi necessari. Dal canto loro gli Stati uniti annaspano, in questo scenario mondiale che li vede sempre meno egemoni, tanto che il presidente Joe Biden ha saputo solamente rispondere che “la speranza è l’ultima a morire” a chi gli chiedeva notizie sulla possibilità in tempi brevi di un “cessate il fuoco" invocato ormai coralmente.

Il 9 marzo tutti i piazza per la pace

Un coro che a Roma prenderà voce il 9 marzo prossimo, data per la quale la Cgil ha indetto una manifestazione nazionale per chiedere il cessate il fuoco, impedire il genocidio, garantire assistenza umanitaria alla popolazione di Gaza, la liberazione di ostaggi e prigionieri, la fine dell'occupazione e riconoscimento dello Stato di Palestina sulla base delle risoluzioni Onu e una conferenza internazionale per la pace e la giustizia in Medio Oriente. In piazza insieme a gran parte del mondo dell’associazionismo rivendicando anche la libertà di manifestare.