Mercoledì 23 ottobre decine di migliaia di persone, oltre duecentomila secondo alcune fonti, si sono riversate nelle strade del centro di Santiago del Cile per la prima giornata di mobilitazione sociale convocata dalla Unidad Social. Lo sciopero generale di 48 ore – che prosegue oggi, 24 ottobre, a livello locale e territoriale – è stato indetto da una ventina di organizzazioni di lavoratori e studenti (tra cui la Cut) contro la decisione del presidente Sebastian Piñera di mettere il paese in stato di emergenza e di coprifuoco, e di ricorrere ai militari per controllare le manifestazioni, gli incendi e i saccheggi registrati a Santiago e in altre città. Si registrano almeno 15 morti – tra cui un peruviano e un ecuadoriano – nella peggiore ondata di violenza in Cile da tre decenni.

I manifestanti si sono concentrati in Piazza Italia, mettendosi in cammino verso il quartiere di Santa Rosa. L'emittente Radio BioBio (citata dall’Ansa) sostiene che si è trattato della più grande dimostrazione organizzata da quando venerdì scorso sono cominciate le proteste in Cile. È stata una protesta pacifica, con qualche piccolo incidente con le forze dell'ordine. La richiesta principale avanzata dalla piazza è che il governo disponga il ritiro dei militari dalle strade cilene, cosa che per il momento non è avvenuta, nonostante il “perdono” chiesto da Piñera. Fra gli slogan più gridati: “Si è svegliato, si è svegliato, il Cile si è svegliato!”.

I lavoratori portuali hanno paralizzato le città costiere e i potenti sindacati delle compagnie minerarie di rame, di cui il Cile è il maggior produttore mondiale, hanno aderito alla mobilitazione. Le aperture al dialogo sociale di Piñera non hanno placato la protesta. La piazza continua a chiedere le dimissioni del presidente.

La società mobilitata in Cile non ha paura dei militari e dei carabinieri in strada – scrive il quotidiano argentino Clarin descrivendo la manifestazione –. Li insulta, li affronta e, il più pacifico, cerca di convincerli che non è giusto puntare le armi contro i compatrioti. Il tentativo di convincere la polizia e i soldati a permettere alla gente di esprimersi e di non gettare lacrimogeni o acqua gelida sulla folla è un'altra delle immagini lasciate dal sesto giorno di proteste per le strade di Santiago”. Tornano anche le vecchie “canzoni di protesta, come il classico El pueblo unido jamás será vencido, eseguito da Quilapayún nel 1973. Nostalgia e poesia sono riemerse da quegli anni bui e dolorosi. I più giovani si ispirano a testi che parlano di un futuro migliore”, nota sempre il Clarin.

Riconoscere “senza ambiguità le richieste del popolo cileno”. Lo chiede monsignor Fernando Chomali, arcivescovo di Concepcion, che ha inviato una lettera ai fedeli sulla situazione di tensione che sta vivendo il paese. Ieri c’è stato l'appello del Papa affinché prevalga il dialogo. “In questi giorni – ha scritto il presule nella missiva – si è levato il clamore del popolo cileno che già si vedeva sorgere. Il dolore e la frustrazione di tante persone, che provano molteplici difficoltà a vivere degnamente, a educare i loro figli, a curare le loro infermità, ad avere una pensione degna alla fine della loro vita lavorativa, si respira in Cile in lungo e in largo”. Secondo monsignor Chomali, “non possiamo che accompagnare queste persone e riconoscere con chiarezza e senza ambiguità che le loro richieste sono giuste. Ciò vale soprattutto per i bambini, i giovani e gli anziani che si sentono soli, abbandonati, senza speranza, molti sprofondati nella più assoluta povertà. Addolora che il Cile si presenti, da un parte, davanti al mondo come un Paese di successo, però dall'altra sulle tavole di molti cileni ci sono solo le briciole avanzate dai tavoli degli altri”.

“La grande protesta sociale esplosa il 14 ottobre scorso in seguito all'incremento del prezzo del biglietto della metro si è trasformata in un'enorme ribellione popolare che si è rapidamente estesa a tutte le principali città cilene. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso di decenni di rabbia e di scontento di fronte agli abusi, al saccheggio e allo sfruttamento che hanno reso il Cile uno dei paesi più diseguali al mondo”. Così, in una intervista al Manifesto, Pablo Sepulveda Allende, nipote del presidente socialista Salvador Allende. “Non a caso, in base alle cifre ufficiali della Commissione economica per l'America latina e i Caraibi (Cepal) relative al 2017, il 50% delle famiglie ha accesso al 2,1% della ricchezza del paese, a fronte di un 10% che possiede il 66% del totale e dell'1% più ricco che concentra il 26,5% delle risorse”. “La causa delle mobilitazioni di massa di questi giorni è insomma strutturale e va ricondotta a un modello economico e politico segnato dal neoliberismo più estremo, che oltretutto distrugge i nostri ecosistemi condannando le comunità a vivere in luoghi insalubri” spiega Sepulveda Allende. “Un modello a cui non ha messo mano neppure la Concertación, la coalizione di centro sinistra che ha governato a lungo il paese”. Quanto al pacchetto di misure sociali annunciato dal presidente Piñera, Sepulveda Allende dice che “non è assolutamente credibile. È un pacchetto che si propone solo di guadagnare tempo, offrendo la realizzazione di provvedimenti superficiali al solo scopo di continuare a ingannare il popolo e di smobilitarlo, di frenarne la lotta”.