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Nei giorni scorsi è partita da Otranto una nuova missione del Global movement to Gaza, la Freedom Flotilla. Una decina di imbarcazioni di missione umanitaria, civile, non violenta e pienamente legale. Se la Sumud Flotilla aveva l’obiettivo di consegnare aiuti alimentari, quella ora in navigazione è composta da personale sanitario e le stive sono cariche di medicinali e strumentazione medica.
Imbarcato sulla “Conscience” anche Stefano Argenio, 42 anni di età e 20 di professione, infermiere di terapia intensiva presso l’ospedale San Giovanni Addolorata e rappresentante sindacale Fp Cgil. L’obiettivo di questa missione, composta esclusivamente da personale sanitario e da giornalisti, è chiaro: interrompere il blackout mediatico e sanitario a Gaza.
Stefano Argenio, intanto grazie per quel che stai, state facendo.
Grazie soprattutto al supporto da terra che ci accompagna e ci rende meno soli, più forti.
In quanti siete?
Siamo imbarcati sulla Conscience, la nave ammiraglia della Freedom Flotilla Italia. Siamo partiti il 30 settembre da Otranto, a bordo ci sono circa 40 tra medici, infermieri e alcuni giornalisti attivisti. Stiamo navigando verso Gaza per portare supporto tecnico e operativo da parte del personale sanitario a bordo. Non solo: portiamo oltre due tonnellate di farmaci ed elettromedicali che abbiamo raccolto con donazioni nelle settimane e nei mesi precedenti la partenza.
Qual è il vostro obiettivo?
Dare il cambio e supportare gli operatori sanitari in Palestina. Secondo i dati – abbastanza recenti – della Croce rossa internazionale si registrano 1.677 sanitari uccisi dall'inizio del genocidio di Gaza. È un numero assurdo e, purtroppo, in continuo aggiornamento. Inoltre, il 70 per cento delle strutture sanitarie a Gaza sono completamente distrutte e la restante parte funziona a scartamento ridottissimo.
Quante nazionalità sono rappresentate nella tua barca?
Circa 40. C’è una nutrita delegazione malese e una numerosa delegazione statunitense, e poi tunisini, canadesi, francesi, spagnoli, inglesi, norvegesi, danesi e italiani. Ci sono anche dei nativi americani che stanno viaggiando su questa nave: insomma, l’internazionalismo vero e proprio è qui. Una cosa tengo a dire: il clima a bordo è molto bello. Nonostante ci sia una babele di lingue, la comunicazione tra noi è fluida perché il linguaggio comune è quello della solidarietà e del desiderio di attraccare a Gaza e dare un supporto fattivo.
Cosa vi aspettate di trovare nella striscia di Gaza?
Oltre a curare le terribili ferite di guerra, c’è una vera e propria emergenza sanitaria di cui si parla pochissimo. Oltre ai morti causati da bombe, missili e carri armati, a Gaza si muore soprattutto di fame. Lì è in atto una carestia ingegnerizzata, possiamo definirla l’ingegneria della fame. Noi andiamo lì perché abbiamo l’intenzione di forzare questo blocco illegale che Israele perpetra da quasi 20 anni, impedendo l’accesso di aiuti e di qualunque possibilità di sostentamento per la popolazione.
La settimana scorsa da Gaza City sono andati via la Croce rossa e Medici senza frontiere per impraticabilità del campo. Già questa appare una sconfitta terribile, perché durante tutti i conflitti la Croce rossa è sempre stata presente. Che possibilità avete voi di poter entrare?
Le possibilità sono ridotte. Nonostante siamo operatori sanitari, è immaginabile che Israele perseveri nel comportamento illegittimo che persegue da diversi anni: ci aspettiamo, dunque, lo stesso trattamento che hanno avuto i naviganti della Global Sumud Flotilla la scorsa settimana. Sappiamo che corriamo il rischio di essere sequestrati in acque internazionali, di non poter quindi dare il nostro supporto tecnico agli ospedali di Gaza, non poter consegnare le medicine che abbiamo raccolto con mesi di donazioni, medicine che vanno dai farmaci da banco – introvabili a Gaza – a quelli che si utilizzano nelle terapie intensive, nelle sale operatorie, nei pronto soccorso, per la prima infanzia. Sappiamo che tutto ciò che trasportiamo potrebbe essere sequestrato e impossibilitato a raggiungere gli ospedali.
Quante sono le barche in navigazione verso Gaza insieme alla vostra?
Al momento ci sono altre otto imbarcazioni, che fanno parte della coalizione del Thousand Melin, mentre della Freedom Flotilla al momento c'è solo questa, perché le altre due hanno avuto problemi tecnici alcuni giorni fa a causa di una tempesta, subendo danni strutturali che hanno reso impossibile proseguire. Quindi in tutto siamo nove. Siamo a circa 200 miglia dalle coste di Gaza, entreremo nelle acque ad alto rischio di intercettamento entro un paio di giorni. Se non venissimo abbordati dalle navi militari israeliane, venerdì o sabato potremmo stare al limite delle 50 miglia da Gaza.
Perché ha lasciato il tuo lavoro di infermiere di terapia intensiva, hai preso le ferie e ti sei imbarcato verso Gaza?
Noi sanitari facciamo un giuramento che ci impone di curare e assistere tutti, a prescindere dal credo religioso o politico. Mi è risultato impossibile scrollare i video sugli smartphone, sui tablet, che raccontavano un genocidio in diretta, senza poter incidere in qualche modo. Partire, e con la mia azione contribuire ad accendere i riflettori su quello che sta accadendo a Gaza, è diventato inevitabile.
Voi state facendo ciò che, in verità, dovrebbero fare i governi…
È proprio così. Sia chiaro: noi non vorremmo stare su questa nave, vorremmo che questo compito fosse espletato dai nostri governi, che sono invece indifferenti a ciò che sta accadendo di fronte casa nostra. I nostri Stati possiamo definirli complici del genocidio, perché ciò che stiamo facendo noi potrebbe farlo un qualunque Stato europeo, visto che quello della striscia di Gaza e della Cisgiordania è un assedio illegale, che affama e uccide la popolazione. Da anni quella striscia di terra è una prigione a cielo aperto. Eppure, Israele continua ad avere appoggi internazionali che consentono anche ai nostri governi di chiudere entrambi gli occhi.