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La politica francese mette in pausa lo scontro sociale, l’aggressione ai diritti, e prova a costruire su questa tregua una stabilità istituzionale dopo mesi, anni, di inconsueta fragilità. La crisi era cominciata tre anni fa con la riforma delle pensioni voluta dal presidente Emmanuel Macron. E si conclude col suo temporaneo ghigliottinamento. Diciamo che la riforma è stata messa agli arresti domiciliari.
Ieri, 12 novembre, l’Assemblea nazionale francese ne ha infatti approvato la sospensione. La misura è stata votata nel pomeriggio di mercoledì con 255 voti favorevoli e 146 contrari, nell’ambito dell’esame del disegno di legge di bilancio della previdenza sociale.
La proposta, annunciata dal primo ministro Sébastien Lecornu, rappresenta una delle principali concessioni del governo, intenzionato a evitare una rottura con il Partito socialista e a scongiurare un possibile voto di sfiducia. La sospensione, che dovrà ora essere esaminata dal Senato (ma è una formalità), blocca l’aumento graduale dell’età pensionabile da 62 a 64 anni fino al gennaio 2028. Di conseguenza, la generazione nata nel 1964 potrà andare in pensione a 62 anni e 9 mesi, come quella precedente, invece dei 63 anni previsti dalla riforma.
Il provvedimento è passato grazie al sostegno congiunto di socialisti, ecologisti e deputati del Rassemblement National, mentre i parlamentari del partito presidenziale Renaissance si sono astenuti. Contro hanno votato La France Insoumise di Melenchon e i comunisti, che hanno definito la sospensione “un semplice rinvio” e non una vera abrogazione della riforma.
Secondo le stime del governo, il costo della misura sarà di 100 milioni di euro nel 2026 e 1,4 miliardi nel 2027. Se la sospensione venisse estesa ad altre fasce di popolazione, la spesa potrebbe arrivare a 300 milioni nel 2026 e 1,9 miliardi nel 2027.
Bocciato il congelamento delle pensioni
Nella stessa giornata, l’Assemblea ha anche respinto a larga maggioranza la proposta di congelare le pensioni di base e le prestazioni sociali, che era stata inserita dal governo nella bozza di bilancio per ridurre la spesa pubblica. Il provvedimento, che prevedeva il blocco degli aumenti delle pensioni e di sussidi come gli assegni familiari a partire dal 2026, è stato bocciato con 308 voti contro 99.
La fine di una storia iniziata male
Si conclude così, o perlomeno si congela, un processo “iniziato alla fine del 2022, inizio 2023, quando Macron decise di portare avanti la riforma”, ricostruisce Moulay El Akkioui, coordinatore dell’Inca (il patronato Cgil) in Francia. “Il Parlamento non aveva appoggiato la riforma: la grande maggioranza, sia di destra che di sinistra, non la sosteneva, salvo lo schieramento di Macron”, ricorda sempre El Akkioui.
Si arrivò quindi a “una situazione di scontro – prosegue El Akkioui – in cui la premier Borne decise di ricorrere a quello che in Italia chiameremmo un ‘voto di fiducia’, applicando l’articolo 49.3 della Costituzione francese che permette al governo di approvare una legge senza il voto dell’Assemblea nazionale. La riforma è dunque passata con questo meccanismo — a mio avviso non democratico — e da allora tutto il movimento sindacale francese non ha smesso di chiederne l’abrogazione. Ci sono stati più di quindici scioperi generali”.
Ma alla riforma delle pensioni non si sono opposti solo sindacato, società civile e forze politiche di sinistra: “Anche il Consiglio nazionale dell’economia francese – ci spiega il sindacalista dell’Inca – ha dichiarato che il bilancio dello Stato non sarebbe stato in pericolo se la riforma non fosse passata. Il Consiglio, infatti, aveva già detto che non c’era bisogno di una riforma delle pensioni per la tenuta del sistema. Macron, invece, sostiene che è indispensabile per evitare che nei prossimi anni manchino i fondi per pagare le pensioni future”.
“In questo contesto, i sindacati francesi — soprattutto le due grandi confederazioni, la Cgt e la Cfdt — non hanno mai smesso di mobilitare il mondo del lavoro e la società civile per dire che la riforma delle pensioni non serve. Servono invece altre cose: l’aumento dei salari, l’assunzione di personale nella sanità, la riforma della scuola”.
Fino all’anno scorso, quando è iniziata la crisi politica e istituzionale francese che ha portato alla sfiducia di ben due primi ministri.
Il passo indietro di Lecornu
“Lecornu, questo terzo, e nuovo premier - osserva El Akkioui - ha trovato subito davanti a sé una condizione posta dai sindacati e da buona parte delle forze politiche di sinistra: la riforma delle pensioni doveva essere sospesa. Era una precondizione anche per le opposizioni, che la consideravano un elemento politico essenziale”.
“Nel suo primo intervento programmatico, Lecornu ha detto chiaramente: ‘Sospendiamo la legge sulla riforma delle pensioni’. Il sindacato ha accolto la notizia con un plauso, riconoscendo che si trattava di un passo importante, ma ha anche precisato: ‘La sospensione va bene, ma per noi l’obiettivo è l’abrogazione’”.
“Sospensione”: una formula ambigua
Dire “sospensione” non è la stessa cosa che dire “abrogazione”. L’ambiguità è palese. Spiega sempre El Akkioui: “Lecornu ha annunciato che la sospensione durerà fino al 2028. Tuttavia, sindacati e partiti, come la compagine guidata da Jean-Luc Mélenchon, hanno chiesto chiarimenti: cosa significa ‘fino al 2028’? Nel 2028 la legge tornerà automaticamente in vigore oppure si ricomincerà a discuterla da zero?”.
"C’è un elemento di grande importanza in questa sospensione della riforma che è puramente politico e che è stato valutato anche dai sindacati francesi; cioè: se le forze politiche l’hanno sospesa, perché è inutile per la collettività oggi, perché non lo dovrebbe essere anche nel 2028? Si dovrà perlomeno riaprire da zero la trattativa con le stesse forze e soprattutto con le forze sociali, appunto il sindacato confederale francese. A mio avviso si andrà direttamente all’abrogazione della riforma e si ricomincerà da zero. Tutto dipenderà sicuramente dal nuovo governo che sarà eletto nel 2027".
Il clima è cambiato
Ad ogni modo il passaggio parlamentare di ieri è “un passo importante”, e apre una stagione diversa in Francia. Per El Akkioui “il vero punto politico è che il clima è cambiato. Infatti, in Parlamento è stata approvata anche una misura significativa: un periodo aggiuntivo di maternità e paternità, per la prima volta in Francia, che aggiunge due mesi ai congedi già previsti, permettendo ai genitori di passare più tempo con i figli dopo la nascita”.
“Questo è un segnale importante: un ritorno alla discussione politica sul bene comune, al di là degli schieramenti”, conclude El Akkioui: “Negli ultimi anni, la società civile francese è stata molto attiva nella difesa dei diritti e nella protesta contro la riforma delle pensioni. Persone di tutte le età — lavoratori, pensionati, studenti, insegnanti — sono scese in piazza in massa. Oggi in Francia c’è la volontà di continuare su questa strada, guardando al bene comune e ai diritti dei cittadini”.

























