Irlanda, Spagna e Norvegia riconosceranno lo Stato di Palestina nei confini stabiliti nel 1967 che comprendono Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme, città condivisa con Israele. L’atto di riconoscimento dovrebbe avvenire il prossimo 28 maggio. Un annuncio al quale il ministro degli Esteri israeliano ha risposto con l’ordine di richiamo dei propri ambasciatori nei tre Paesi. Un ordine accompagnato dalla minaccia di “altre terribili conseguenze” a fronte di decisioni definite “avventate”. Anche Malta e Slovenia si sono già dette pronte al riconoscimento “a tempo debito”. 

Significative, per capire il valore politico della decisione, le parole del primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, il quale ha ricordato le ripetute denunce da parte delle ong degli abusi nei territori occupati: "Questa passività deve finire", ha dichiarato, aggiungendo poi che Netanyahu “mette in pericolo” la soluzione dei due Stati e non ha “un progetto di pace”, ma ha provocato solo “dolore e distruzione” a Gaza. Sanchez ha quindi detto di confidare che il riconoscimento serva a dire ai palestinesi che non sono soli e “che c'è luce alla fine del tunnel”.

Il Parlamento Europeo, che però non ha potere giurisdizionale in materia, nel 1999 aveva approvato una risoluzione in cui dava sostegno a uno Stato palestinese entro i confini del 1967, ribadendo poi il principio al vertice dei capi di Stato e di governo dell'ottobre 2023. Sino a ora però solamente otto dei 27 paesi membri dell’Unione hanno proceduto con il riconoscimento. Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Ungheria e Cipro lo hanno fatto prima di entrare nella Unione europea, mentre la Svezia nel 2014. All’interno delle Nazioni Unite, invece, sono soprattutto gli Stati di Europa orientale, Africa, Asia e America Latina ad avere intrapreso questa strada, tanto che la Palestina è riconosciuta da circa due terzi degli Stati membri Onu.

E l’Italia? I governi che si sono succeduti nel nostro Paese non hanno mai mostrato contrarietà al riconoscimento, ma nel contempo non hanno mai compiuto l’atto formale. Sono di giornata le dichiarazioni del ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, il quale nel fine settimana incontrerà il primo ministro dell'Autorità nazionale palestinese, Mohammad Mustafa: Tajani ha affermato che il governo è favorevole alla nascita dello Stato palestinese e a “lavorare a una soluzione così come proposta dalla Lega Araba”, ma quando sarà finita la guerra, “con una sorta di amministrazione dell'Onu” e aggiungendo la disponibilità a “inviare militari italiani” all’interno di una missione.

Anche il ministro degli Esteri francese, Stéphane Séjourné, ha affermato che il riconoscimento dello Stato palestinese "non è un tabù" ma che ora non è il momento giusto. Si confermano quindi posizioni diverse all’interno dell’Unione europea, come per altro accaduto nei confronti della richiesta di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità avanzata alla Corte Penale Internazionale per il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ministro della Difesa Yoav Gallant. Spagna, Francia e Belgio si sono schierati a favore, diversamente da Regno Unito, Austria, Germania e anche Italia.

La mossa di Irlanda, Spagna e Norvegia fa comunque pensare all’inizio di una fase di cambiamento. Come dalla Cgil afferma il coordinatore dell’Area internazionale, Salvatore Marra, “la riconciliazione tra popolo palestinese e popolo israeliano non potrà che avvenire tramite il riconoscimento dello Stato di Palestina e della cittadinanza, questo è il punto fondamentale: riconoscere al popolo palestinese, nella forma in cui i palestinesi vorranno, il diritto all'autodeterminazione”.