La firma è stata apposta il 21 agosto scorso. Il Joint Statement, “Dichiarazione congiunta su un accordo quadro tra Stati Uniti e Unione europea sul commercio reciproco, equo ed equilibrato”, ha formalizzato in 19 punti l’intesa politica sui dazi raggiunta a fine luglio. Un accordo capestro per l’Europa e per gli europei e che di equo ed equilibrato non ha davvero niente.

È completamente sbilanciato a favore degli Usa, colpisce moltissimi prodotti che la Ue esporta, prevede obblighi e aggravi a carico del Vecchio Continente, impone all’Europa di rinunciare a vincoli e standard elevati per facilitare l’ingresso delle merci statunitensi.

Zero contro 15

Non un accordo strategico, quindi, come è stato spacciato, ma una sorta di sottomissione. Perché? Perché la tariffa dei beni Usa importati nella Ue è zero o rimane invariata, mentre i beni Ue importati in Usa soffriranno una tariffa unica del 15 per cento. Questa la regola generale, salvo alcune piccole eccezioni. I settori interessati sono tanti, ma a essere maggiormente colpiti sono i prodotti agricoli, gli alcolici, alcuni farmaceutici, i semiconduttori e moltissimi prodotti industriali.

Dall’altro lato l’Unione europea si impegna ad acquistare prodotti energetici dagli Stati Uniti per circa 750 miliardi di dollari nell’arco di tre anni, a investire negli Usa 600 miliardi di dollari, ad aumentare significativamente l'approvvigionamento di equipaggiamenti militari e di difesa statunitensi, acquistare su larga scala i chip per l’intelligenza artificiale destinati a sostenere l’industria digitale e la manifattura.

Rischi per l’agroalimentare

I riflettori sono puntati soprattutto sull’agroalimentare, settore che è stato sacrificato sul tavolo di una trattativa squilibrata. L’export del Made in Italy verso gli Usa rischia grosse perdite in produzioni chiave come quello del vino senza di fatto ottenere niente in cambio: il dazio medio applicato oggi sul vino italiano che va negli Usa è al 2,9 per cento, domani sarà al 15.

Secondo alcune analisi le esportazioni europee di prodotti alimentari, bevande e tabacco verso gli Stati Uniti rappresentano il 5 per cento del totale. Tra questi, vino, formaggi, cioccolato, olio d'oliva e liquori.

In cambio, l'Ue importa dagli Stati Uniti materie prime come frutta a guscio, soia, carne bovina, mangimi, grano. Si tratta di una relazione commerciale interconnessa che sostiene centinaia di migliaia di posti di lavoro, molti dei quali in piccole imprese e comunità rurali. Oltre all’impatto diretto, si corre il pericolo anche di un grave danno all’intero indotto agroindustriale. A pagare, alla fine, saranno i lavoratori.

Proteggere i lavoratori

“Sebbene non sia possibile calcolare il reale impatto, è certo che le ricadute ci saranno – afferma Andrea Coinu, responsabile delle politiche internazionali della Flai Cgil -. Per questo è urgente adottare misure protettive per i lavoratori, salvando i posti potenzialmente interessati, attuando interventi di sostegno finanziario e di tutela dell'occupazione, ispirati all'iniziativa Sure (lo strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un'emergenza, ndr) che è stata utilizzata durante la pandemia. Poi occorre sviluppare programmi mirati per le regioni e i settori maggiormente colpiti dai dazi statunitensi, con rigorose condizionalità sociali”.

Barriere non tariffarie

Le forti preoccupazioni più volte espresse dalle associazioni datoriali sono dunque fondate: il rischio è che diminuisca la quota dei prodotti esportati. Ma non basta. Dietro l’angolo ci sono altri pericoli.

“Al punto 9 dell’accordo si afferma che si lavorerà per abbattere le barriere cosiddette non tariffarie sui prodotti agricoli, in particolare sulla carne di maiale e sui lattiero caseari – spiega Coinu -: in pratica, si apre la strada all’ingresso di prodotti che non sono all’altezza degli standard qualitativi che abbiamo in Europa, un rischio per i consumatori e per i nostri metodi di coltivazione e allevamento”.

Che cosa potrebbe accadere? "Che i regimi con i quali alleviamo gli animali e le certificazioni con cui permettiamo alle carni di essere ritenute sane e quindi commerciabili, potranno essere superati da futuri accordi – risponde il dirigente della Flai –. Mi riferisco all’impiego di fitofarmaci e di antibiotici che oggi in Europa sono vietati, per esempio, e alle regole previste per gli allevamenti intensivi. Lo stesso discorso vale per i mangimi che noi importiamo dagli Usa”.

Paletti da eliminare

Un’eccezione verrà fatta anche al regolamento europeo sulla deforestazione, “riconoscendo – recita il testo dell’accordo quadro al punto 10 - che la produzione delle merci in questione nel territorio degli Stati Uniti rappresenta un rischio trascurabile per la deforestazione globale”.

Altri paletti da togliere: le regole fissate dalla Ue con le direttive sulla due diligence in materia di sostenibilità aziendale e sulla rendicontazione in materia di sostenibilità aziendale, che stabiliscono obblighi per le grandi imprese nell’identificare e gestire gli impatti negativi sui diritti umani e sull'ambiente all'interno delle loro produzioni e catene di fornitura.

“Indebite restrizioni”

Ebbene, al punto 12 del Joint Statement l’Ue si impegna a garantire che queste due direttive “non pongano indebite restrizioni al commercio transatlantico”. In pratica, tutto quello che non erano riusciti a fare con il Ttpi, l’accordo commerciale di libero scambio tra Ue e Usa in corso di negoziato da più di dieci anni, lo si è inserito in questa intesa sui dazi.