Siamo stati recentemente inviati al congresso della Cut Colombia a Bogotá ed abbiamo colto l’occasione per approfondire, tramite una serie di incontri, la delicata situazione in cui si trova il processo di pace in Colombia. Come è noto a fine novembre del 2016, l’allora presidente Juan Manuel Santos e il comandante delle Forze Armate Rivoluzionarie (Farc) firmavano nel teatro Colón di Bogotá il testo definitivo degli accordi di pace tra la guerriglia e lo Stato raggiunti qualche mese prima a Cuba. Quel gesto voleva essere il simbolo della chiusura di una guerra interna che ha dilaniato per più di mezzo secolo il paese latinoamericano.

Da allora, in realtà, l’accordo è rimasto quasi lettera morta sino all’elezione del presidente Gustavo Petro, che nell'agosto del 2022 ha avviato un percorso per mettere in atto l’accordo di pace. Lala di Gustavo Petro comprende un ambizioso programma con il quale intende raggiungere accordi di pace con i gruppi armati ancora attivi nel paese, in primis i gruppi guerriglieri dell’Eln e i dissidenti Farc-Ep. Gustavo Petro è tuttavia cosciente che nel Paese sono ad oggi territorialmente ancora attive anche bande criminali e gruppi paramilitari di estrema destra, una geografia frastagliata di gruppi, talvolta formati in esito a divisioni successive alla firma degli accordi.

Per questo motivo Petro e il suo governo credono fermamente che per raggiungere la ‘Paz total’ vada attivato il dialogo anche con questi gruppi. L’attività dell’Alto commissariato per la pace è frenetica e si dedica ad aprire vie di dialogo in vari punti del paese con tutti i gruppi che controllano il territorio (si vedano i continui aggiornamenti sul sito).

Tuttavia il processo di pace, di fatto iniziato da poco più di un anno e mezzo, incontra svariati ostacoli e necessita di tempo. Se, come ci ha detto Raúl Rosenda, della missione Onu in Colombia, dall’inizio del processo di pace la sicurezza è evidentemente aumentata in alcune parti del Paese dove gli accordi cominciano ad essere applicati, in altre parti, anche a causa della conflittualità tra gruppi dissidenti, la situazione di insicurezza persiste. Questo viene strumentalizzato dalla stampa vicina alla destra ed all’Uribismo per cercare di distruggere ed ostacolare il processo di pace, che non piace ai settori della destra e ad alcuni potentati.

A ciò si aggiunge la complessità della macchina burocratica, funzionari statali contrari al cambiamento, che rallentano l’applicazione degli accordi, mantenendo così lo scontento tra la popolazione. Se infatti la situazione non migliora, anche dal punto di vista economico e del benessere, nei territori sarà impossibile applicare gli accordi di pace. Lo stato ha acquistato molti terreni rurali ma non è riuscito ancora a distribuirli ai contadini, sempre a causa della burocrazia e delle resistenze interne; si è impegnato altresì a fare una riforma del catasto che metterebbe finalmente un freno al latifondo, ma fatica a metterla in atto.

Durante il nostro breve soggiorno abbiamo sentito spesso le parole ‘golpe blando’, riferite alle campagne denigratorie contro il governo: sono di due giorni fa una serie di manifestazioni contro Petro, considerato colpevole di non dare ancora risposte al popolo colombiano. È possibile che il governo Petro si scontri con il fatto di avere messo in cantiere moltissime riforme oltre alla Paz Total, tutte positive, come la riforma del lavoro e quella delle pensioni, in discussione in questi giorni in parlamento. Tante riforme e una lotta contro il tempo considerando che il mandato dura 4 anni.

Ascoltando anche altri attori del processo, come ad esempio ex Farc, tra i primi firmatari dell’accordo, ci si rende conto che le difficoltà aumentano. Anche la Jep (Jurisdicción especial para la paz), che avrebbe dovuto costituire un canale giudiziario speciale per i firmatari, si scontra con le rigidità dei giudici ancorati alla legislazione ordinaria e resistenti ad applicare la giurisdizione speciale. Tuttavia ciò che è risultato chiaro e unanime tra tutti coloro che abbiamo ascoltato è che la strada intrapresa, con tutte le difficoltà che possono insorgere, è l’unica possibile.

Il processo di pace in Colombia, secondo le Nazioni Unite, è una esperienza positiva perché costituisce un impegno reale da parte dei firmanti a cessare le ostilità e a raggiungere la pace. È indubbio che ci sia stata una riduzione del 18% degli omicidi anche se in alcune zone perdura il conflitto. L’unica via possibile, a detta dell’Alto Commissario per la pace, dell’Onu, dei firmanti delle Farc ed altri gruppi firmatari è proseguire fattivamente nell’applicazione degli accordi. Ma anche continuare ad aprire il dialogo in quelle zone dove non è ancora arrivato e con tutti gli attori in campo. Non c’è alternativa al dialogo e questo il governo di Petro lo ha ben chiaro e lo considera come un punto fondante del suo mandato.

Quello che si può fare in Europa, e in questo la rete sindacale europea può provare a dare un contributo, è tentare di coinvolgere quanti più paesi europei a fare da garanti al processo di Pace (ad oggi tra i garanti figura solo la Norvegia tra gli europei mentre altri sono impegnati nei processi di formazione ed accompagnamento), nonché, come richiesto anche dagli attori con i quali abbiamo interloquito, far conoscere e spiegare cosa è il processo di pace, tramite conferenze, webinar etc, mettere in evidenza gli ostacoli che sta incontrando e l’importanza della sua prosecuzione anche oltre il mandato del governo Petro.

Il governo Petro non potrà mettere in atto tutto ciò che ha programmato ma è ostinatamente impegnato a proseguire nel percorso verso la ‘Paz Total’: in un mondo in cui imperversano le guerre un Paese in cui è in corso un processo di pacificazione va appoggiato ed sostenuto. Il processo di pace in Colombia è la dimostrazione che un’altra via, per quanto impervia e difficoltosa, è possibile.

Nicoletta Grieco, Area politiche europee e internazionali della Cgil