Osservando quanto succede in Argentina si rischia di commettere un grave errore. Si potrebbe pensare che non ci riguarda, perché è un Paese lontano e fa storia a sé. Ma quando una centrale nucleare esplode o subisce un guasto - dovunque accada, per quanto lontano accada -, non ci spaventiamo e preoccupiamo per le popolazioni e le specie colpite? E non temiamo anche per la nostra salute? 

È lo stato d’animo col quale dovremmo considerare questo "esperimento" di Javier Milei, neo presidente che punta a imporre al Paese del Cono Sud una vecchia/nuova ricetta ultraliberista sul piano economico e autoritaria e populista sul piano politico e sociale. In realtà, la più esportabile e contagiosa delle ricette. Sotto il segno dell’aggiustamento economico e con il beneplacito del Fondo monetario internazionale.

Non dimentichiamo che il 2024 sarà un anno elettorale planetario. Il 2023 si è concluso con l’elezione di Milei in Argentina e Geert Wilders in Olanda, due populisti di estrema destra, apertamente seguaci di Trump e Bolsonaro. Non esattamente un buon viatico per il nuovo anno. L’Argentina è molto meno isolata di quanto si possa immaginare. Nelle prossime righe, con l’aiuto di alcuni analisti ed esperti, cercheremo di capire il conflitto che attraversa questo Paese.

I sindacati alla guerra

Partiamo da oggi, 24 gennaio. Giorno dello sciopero nazionale indetto dai sindacati argentini (Cgt, Ctat, Ctaa) contro la riforma shock del mercato del lavoro avviata da Milei scavalcando il Congresso. Le misure sono contenute, tra le tante, nel Decreto di necessità e urgenza (Dnu) presentato a fine anno. Un provvedimento che ha già subito decine di ricorsi legali che ne denunciano l’incostituzionalità. Un tribunale ha sospeso proprio il capitolo sulla riforma del lavoro, accogliendo il punto di vista dei sindacati.

Come spiega l’analista Luciana Zorzoli, “i lavoratori argentini si trovano ad affrontare il più grande attacco ai loro diritti occupazionali dai tempi della dittatura militare degli anni Settanta”. Il decreto avvia “la fase inaugurale” di una “ampia deregolamentazione” - prosegue la ricercatrice - ed è “destinato a cambiare radicalmente la società argentina, incidendo direttamente sui diritti e sulle tutele di milioni di lavoratori”. La sezione sul lavoro, infatti, “mira a limitare il diritto di sciopero, il diritto di riunione e il diritto alla contrattazione collettiva”. Inoltre “modificherebbe la posizione finanziaria dei sindacati, l'assistenza sanitaria dei lavoratori e diritti fondamentali come il congedo di maternità”.

Daniella Fernandez Realin/Avalon/Sintesi
Daniella Fernandez Realin/Avalon/Sintesi
27 dicembre 2023, manifestazione a Buenos Aires contro Milei ()

Minaccia alla democrazia

“I sindacati argentini scioperano contro un maxi decreto d'urgenza che tende a modificare l'assetto economico ed istituzionale del Paese, delegando al mercato la regolazione delle relazioni economiche e sociali. A ciò si aggiunge la norma che mira a criminalizzare la protesta sociale e a limitare fortemente la libertà di espressione, con misure che non si conoscevano dai tempi della dittatura”. Così Cgil e Uil nella nota unitaria in cui annunciano il presidio odierno davanti all’ambasciata argentina a Roma, in solidarietà con la mobilitazione. L’appuntamento è alle 15.30 in piazza dell’Esquilino.

Per Cgil e Uil è in atto “una grave minaccia alla democrazia argentina, ai diritti delle donne e degli uomini, delle lavoratrici e dei lavoratori argentini che già stanno subendo gli effetti negativi delle misure adottate con aumenti smodati dei prezzi dei servizi e dei prodotti alimentari e l'inizio di una campagna di deregolamentazione dell'economia nazionale, con il licenziamento di migliaia di dipendenti pubblici e la vendita di aziende statali strategiche con un progetto di progressivo smantellamento dello Stato”. “Il maxi decreto - sottolineano le confederazioni italiane - incide altresì sul diritto del lavoro limitando i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, limitando gli indennizzi e le prerogative dei contratti nazionali e il diritto allo sciopero ed a manifestare”.

Una sfida enorme

Ha osservato Luis Campos - coordinatore dell'Osservatorio dei diritti sociali della Ctaa - che “i sindacati stanno affrontando la sfida più grande degli ultimi decenni. Per la prima volta nella storia dell'Argentina, un candidato che ha promesso un programma di aggiustamento ha vinto le elezioni presidenziali ed è determinato a realizzarlo”. 

“La minaccia dell'iperinflazione è ancora nell'aria - secondo Campos -. Ma la sfida riguarda i “cambiamenti strutturali che il governo di Milei sta cercando di attuare, che potrebbero cambiare l'equilibrio di potere tra capitale e lavoro per i prossimi decenni e costituirebbero una minaccia per il potere istituzionale che i sindacati hanno avuto in Argentina dalla metà degli anni Quaranta in poi”.

Dal Dnu al disegno di legge Omnibus: terapia shock

Il mondo del lavoro organizzato è sempre il primo punto di attacco. Ma il progetto di Milei non si ferma qui. Il disegno di legge Omnibus presentato subito dopo il Dnu aggredisce in 664 articoli l’intero assetto dell’economia, delle istituzioni e della società argentine, prevede la privatizzazione di 41 aziende pubbliche (tra cui la compagnia petrolifera statale Ypf), mette mano al sistema elettorale e introduce nuove tasse

Inoltre, in ragione di una ipotetica situazione di emergenza, avoca il potere legislativo all’esecutivo, ossia allo stesso Milei, per due anni rinnovabili di altri due, quindi per l’intero mandato di un presidente il cui partito è in minoranza in entrambe le Camere del Parlamento, sebbene Milei abbia ottenuto il 55,6% dei voti al ballottaggio. Milei ha tenuto il discorso di apertura del proprio mandato dando le spalle al Congresso. È un nemico aperto del Parlamento. E c'è il precedente di Fujimori, che in Perù chiuse il Parlamento per decreto. Questa tentazione in Argentina esiste.

Un Paese attraversato da crepe

Il Paese - come si diceva sopra - è stremato dall’iperinflazione (solo a dicembre +25%, e nel 2023 complessivamente supera il 200%). Il carovita ha colpito soprattutto i beni alimentari e di prima necessità. Vaste aree geografiche (in particolare le province tucumane e settentrionali) sono assediate dalla povertà.

“In Argentina - spiega a Collettiva il sociologo e filosofo Claudio Tognonato - si parla spesso di grieta, che significa ‘crepa’, ‘spaccatura’. È una società non solo frantumata ma divisa in due da sempre, prima storicamente tra unitarios e federales, poi tra peronismo e antiperonismo. Un Paese che con dittatura e desaparecidos si spaccò di nuovo in due con una violenza impensabile. L'Argentina è stata vittima della grieta anche durante i governi dei Kirchner: o con loro o contro di loro. È un Paese vittima da sempre di una contraddizione fortissima”.

Daniella Fernandez Realin/Avalon/Sintesi
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11 gennaio 2024: una manifestazione a Buenos Aires contro Milei ()

Per ora l’hanno fermato

E adesso Milei. Che certo non è venuto a stuccare crepe. A lui, oggi, fa fronte l’opposizione organizzata dai sindacati. Come spiega a Collettiva Julio Santucho - storico attivista e militante dei diritti umani - “i rapporti tra il governo Milei e la Cgt (la potente confederazione generale del lavoro peronista, non esattamente autonoma rispetto al potere politico, ndr) hanno avuto delle oscillazioni”. Adesso però è battaglia aperta, e proprio i sindacati “hanno ottenuto che i magistrati del lavoro assumessero la competenza sulle clausole inerenti al lavoro del Dnu, e che le bloccassero. Mentre il governo - spiega Santucho - puntava alla giustizia amministrativa”, facendosi forte della “grande influenza esercitata dall’avvocato dello Stato Rodolfo Barra sul settore giudiziario”. Almeno sulle misure che riguardano il lavoro, Santucho coltiva un cauto ottimismo: “Tutto fa pensare che non passeranno, perché sindacati e opposizione sono riusciti a ottenere un grande consenso”.

Dai Chicago Boys alla demodura di Milei

Perché a proposito di Milei si parla di un “nuovo laboratorio neoliberista”? Perché - risponde Tognonato - “il pensiero va al primo laboratorio di questo genere, che fu avviato dalla scuola economica dei Chicago Boys allievi di Milton Friedman nel Cile di Pinochet. Quel modello arrivò quindi in Argentina nel 1976, nel Regno Unito di Margaret Thatcher e negli Stati Uniti di Reagan. Un percorso che poi si è sviluppato attraverso gli organismi finanziari internazionali e l'Unione Europea, ed è diventato un modello globale indiscusso”.

Il ruolo del lavoro in questo modello, nella sua versione portegna, “purtroppo non è cambiato molto - aggiunge Tognonato - dalla dittatura militare degli anni Settanta ai primi provvedimenti di Milei il quale, nel chiedere una grande concentrazione di potere, ha fatto rispolverare a molti il termine demodura, ossia una democrazia dura o una dittatura blanda, a seconda di come la si veda, ma sempre sotto il segno della deregulation”.

Daniel Bustos/Avalon/Sintesi
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16 novembre 2023: una manifestazione a Cordoba ()

Le ragioni della nuova malattia argentina

“La società argentina è cambiata”, precisa però Santucho. “A partire dal 2011, dopo il primo governo di Cristina Kirchner, l'Argentina è entrata in crisi. C'è stata anche una responsabilità, un’ostinazione da parte del governo justicialista peronista nel mantenere i sussidi varati dopo la crisi del 2001. Una cosa veramente assurda, perché quegli aiuti erano concessi a tutti i cittadini, anche ai ricchi. Tutto questo ha aggravato la spesa pubblica e aumentato il deficit fiscale. L'economia si è bloccata ed è esplosa l'inflazione”.

“Il governo Fernández - ricostruisce sempre Santucho - ha tentato di modificare il sistema dei sussidi, limitandoli alle categorie sociali e ai settori più poveri. L'iniziativa del ministro Martín Guzmán, il primo ministro dell'Economia di Fernández, fu però bloccata dai funzionari peronisti. Il maggior impatto degli aiuti a pioggia si aveva peraltro nell’Amba, la grande area metropolitana composta da 40 municipi di Buenos Aires, una zona nella quale il justicialismo ha il numero maggiore di voti e simpatizzanti”. 

La crisi del peronismo

Tutto questo, alla lunga, ha portato il justicialismo a una crisi di consenso. “Il modello di governo peronista è stato simile a quello della Democrazia Cristiana italiana del secolo scorso - spiega Santucho -, e ha retto quasi sempre l’Argentina, con l’eccezione delle parentesi di Alfonsín e Macri. Ma adesso fa sempre più fatica. La sua base elettorale, composta dai settori più poveri e marginali, in gran parte ha votato per Milei. Un voto di protesta contro la situazione economica e politica. Scaturito senz'altro dal rifiuto dei metodi di governo dell’ultimo peronismo, con i suoi Planes sociales, i suoi benefici concessi con troppe irregolarità e senza controlli. Un sistema per ‘comprare’ l'adesione politica o il voto con l'utilizzo dei sussidi statali”.

Il laboratorio di Milei

E Milei “ne ha approfittato”, ammette Santucho. Pur avendo un progetto che “colpisce lavoratori e ceti medi”, che “favorisce il capitale internazionale” e rischia di svendere con metodi neocoloniali il patrimonio argentino, come dimostra il piano di privatizzazione delle 41 imprese statali, a cominciare dalla già citata Ypf (Yacimientos petrolíferos fiscales). “Proprio ora che l'Argentina è finalmente in condizione di esportare petrolio e gas in grandi quantità, soprattutto ai Paesi vicini, perché la Bolivia praticamente ha finito le sue riserve”, osserva Santucho.


Perché privatizzare?
L’intervento al Congresso dell’economista e deputata peronista Julia Strada.


Per Santucho quello di Milei è davvero un laboratorio: “È stata ‘scelta’ l'Argentina perché probabilmente sembrava il Paese più difficile nel quale applicare simili politiche. Un Paese che apparentemente aveva una tradizione diversa, un partito peronista radicato nel mondo del lavoro. Milei è un personaggio abile, forse l'uomo giusto per far passare politiche forti di aggiustamento economico e sociale. E non dimentichiamo l’apporto che ha ricevuto dalla rete di think tank nordamericani e internazionali raccolti attorno alla fondazione Atlas”.

“Siamo quindi a un punto estremo - aggiunge Tognonato -. Dobbiamo capire che se vince questo esperimento si farà un altro passo verso la distruzione dei principi fondamentali di equità e uguaglianza dei diritti. In Argentina è in atto una prova, come è stata una prova Bolsonaro, come è stata una prova Trump”.

Una manifestazione delle Madres nel 2007 ()

Diritti umani e politiche della memoria sotto attacco

C’è un’altra questione che per l’Argentina è fondamentale. Dobbiamo aspettarci un freno, se non un vero e proprio bavaglio, alle politiche della memoria e del risarcimento per le vittime della dittatura? Si fermeranno le cause nei tribunali? Assisteremo a un regresso anche culturale rispetto al passato, a un oblio o a una negazione dei crimini del 1976-83?

Su questo i nostri interlocutori sono più ottimisti che pessimisti. “Nel 1983 - ricostruisce Tognonato - i militari lasciarono il potere ma non furono sconfitti. Poi c'è stata una riscrittura della storia. Perché la storia non era quella che raccontavano i militari, ma quella che raccontavano le madri, le ‘pazze’ di Plaza de Mayo. Una storia vera e documentata. Ora il sistema Milei proverà a disfare tutto. Ma non sarà facile per loro. Oggi ci sono più di un migliaio di militari in galera. Alcuni agli arresti domiciliari, perché sono molto anziani. Non sarà semplice disfare questo processo, perché gli organismi per i diritti umani sono forti, perché gli anni dei Kirchner hanno dato una dignità ai diritti umani. Quindi no pasarán. L'Argentina saprà opporsi a ogni passo indietro in materia di riduzione dei diritti o politiche della memoria”.

Certo, chiosa Santucho, “Milei non ha mai preso le distanze dalla repressione, dalla dittatura, dal genocidio perpetrato in questo Paese nel 1976-83. E ci saranno meno finanziamenti, un minore apporto del governo alle politiche per i diritti umani. Ma la giustizia funzionerà, si continuerà con i processi, è una strada consolidata”. Bisogna crederci.