La parola “mir”, in russo, significa sia “pace”, sia “mondo”. In Russia è anche il nome di una carta di credito, che un blogger ha sbandierato a Mosca in segno di protesta, dato il suo significato, all’uscita della stazione della metropolitana “Lubjanka”, significativamente vicino alla sede del Fsb, l’erede russo del sovietico Kgb. La creatività del manifestante ne ha scongiurato l’arresto, ma non è andata così per i 15.434 cittadini che, secondo le statistiche pubblicate da Ovd.info – organo di informazione indipendente sui diritti umani – sono stati detenuti dall’inizio dell’”operazione speciale” in Ucraina, che ha irrevocabilmente mutato la società russa: dal 24 febbraio, azioni contro la guerra hanno avuto luogo ogni giorno in tutto il Paese, attraverso manifestazioni di massa - cui hanno fatto seguito detenzioni in massa - ma anche e soprattutto con azioni dimostrative di singole persone in picchetti individuali e prese di posizione sui social network. 

È una protesta trasversale, in termini geografici, sociali e generazionali. Se nei primi giorni ci sono state grandi manifestazioni in 58 città, con migliaia di arresti, tra cui anche quelli di diversi giornalisti, le proteste si sono fatte successivamente sempre più individuali, rimanendo però sparse in tutto il territorio. Da Mosca a Ulan Udé, da San Pietroburgo a Kostroma a Tomsk, da Saratov a Krasnojarsk a Novosibirsk, fino a piccoli villaggi come Lobnja o Kolpaševo sono scesi in piazza, o hanno dato in altro modo la propria testimonianza, semplici residenti e attivisti, studenti e pensionati, artisti e giornalisti, madri di soldati, femministe e persino preti, di età variabile tra i 20 e gli 80 anni. Con il passare delle settimane, si tratta sempre più di picchetti individuali, nei quali si inalberano i cartelli più diversi e originali, dal semplice “No alla guerra” o “NO” alle citazioni dei versi di Marina Cvetaeva e delle parole di Lev Tolstoj contro il potere o di George Orwell in 1984 - il celeberrimo “La guerra è pace. La libertà è schiavitù. Non-sapere è potere” - fino all’appello “Mamma, voglio tornare a casa”, riportato dalla madre di un soldato. 

C’è chi improvvisa rappresentazioni crudamente realistiche e flash mob in luoghi centrali e chi appende scritte contro la guerra alle proprie finestre o alle proprie automobili, oppure scrive messaggi contro Putin e la guerra nell’androne di casa, sulla propria fronte, sullo zaino o sul cappotto (quest’ultimo è il caso, ad esempio, del fiero nipote di un veterano della Seconda guerra mondiale). Recentemente una giovane artista di San Pietroburgo – prontamente detenuta con l’ormai consueto capo d’accusa di “discredito delle forze armate” - e altre persone attive nel resto del Paese hanno cominciato a sostituire le etichette dei prodotti dei supermercati con finte etichette, ove la descrizione del prodotto e il prezzo sono sostituiti da frasi di lapidaria e potente controinformazione sulla guerra e dalle vere cifre, taciute dalle autorità, sul conflitto, ad esempio: “Per mano dei nazisti sono morti 8-10 milioni di ucraini. Quanti ne moriranno per mano dei russi? (Prezzo 10.90 rubli)”, o: “Fermate la guerra! Nei primi tre giorni sono morti 4.300 soldati. Perché la televisione non ne parla? (Prezzo 4.300 rubli)”. C’è anche chi ironizza amaramente sugli slogan del potere, per il quale una delle parole d’ordine preferite è: “Non abbandoneremo i nostri ragazzi”, cui viene aggiunto: “(solo i loro corpi)” (il riferimento è ai soldati al fronte).

Nelle proteste, tutte le generazioni si sono trovate coinvolte. Nella cittadina di Borovsk, 100 chilometri a sud di Mosca, l’artista di strada e pensionato ottuagenario Vladimir Ovčinnikov è stato processato e multato per 35mila rubli (circa 400 euro, considerando che una pensione minima corrisponde a circa 70 euro e una pensione media a circa 200) per aver dipinto su un muro, nei colori della bandiera ucraina, una ragazza sulla cui testa piovono bombe. Dedicatosi negli anni 2000 a opere in memoria delle vittime della repressione politica, figlio egli stesso di un perseguitato politico in epoca staliniana, Ovčinnikov ha dall’inizio della guerra inondato di disegni e scritte contro la guerra – quasi subito coperti da zelanti anonimi “patrioti” – la città che in altri periodi aveva decorato con paesaggi e scene urbane. In base alle sue conversazioni con i propri coetanei, l’artista confida, in un’intervista a Mediazona, di ritenere che la maggioranza dei russi è “infantile, passiva, tutti aspettano qualcosa, hanno paura, paura”.  

Si dà una ragione di questo atteggiamento dei suoi compatrioti la minuta anziana signora che abbiamo più volte visto fronteggiare gli Omon, i poliziotti antisommossa, nelle foto delle manifestazioni di San Pietroburgo: è la settantaseienne ex insegnante e artista Elena Osipova, nota come “la coscienza di San Pietroburgo”, che da venti anni, sin dalla guerra in Cecenia, manifesta con i suoi ormai celeberrimi disegni e poster contro le guerre e contro il potere in Russia, risultando regolarmente detenuta e multata. In solidarietà con i due artisti, sono state lanciate delle collette che hanno consentito di pagare le esorbitanti multe comminate loro.

In una intervista a Meduza, Osipova sostiene che “il problema è tutto nell’indifferenza… Questa obbedienza mi sorprende…C’è molta brava gente, ci sono molti che capiscono tutto. Ma hanno paura, e non posso biasimarli. Capisco che hanno paura di perdere il lavoro, il denaro e, infine, la libertà”.

Inutile dire, infatti, che tutte le azioni di protesta sono state sanzionate con la detenzione e/o con forti multe, che spesso incidono pesantemente sul bilancio degli interessati - specie se si tratta di pensionati, con entrate quasi sempre molto magre - i quali affrontano anche l’isolamento sociale, specie nei piccoli centri, e la probabile perdita del lavoro, per non parlare della brutalità della polizia nei confronti di persone e cose.

Non vengono risparmiati nemmeno i giornalisti che osano riportare le azioni contro la guerra e vengono accusati di essere i “mandanti” degli “atti di vandalismo” sanzionati. Il caso più recente è quello della testata Argument della città di Vladimir, in relazione a graffiti contro la guerra apparsi sui muri cittadini: dopo la pubblicazione delle relative foto, le case del redattore capo e del corrispondente sono state pesantemente perquisite, così come quelle di attivisti e politici della città. I due giornalisti sono ora emigrati, così come molti altri prima di loro.

Secondo Ovd.info, le autorità stanno usando la guerra come scusa per sopprimere il dissenso e “ripulire” totalmente la società civile, con i processi in corso che sono parte di un’aspra battaglia tra le autorità da una parte e, dall’altra, la libertà di parola e di riunione e l’attività di opposizione. In tale situazione, la testimonianza e la partecipazione della società civile alla mobilitazione contro la guerra, spesso giudicate con sufficienza nelle democrazie occidentali, dato il numero apparentemente esiguo di oppositori in rapporto all’intera popolazione, assumono invece maggiore valore, divenendo anche un indicatore dello sviluppo di contraddizioni all’interno della complessa società russa.