Come ogni anno, esattamente dal 1975, quando le Nazioni Unite hanno dichiarato il 29 novembre Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, dalla grande hall dell’Assemblea generale dell’Onu del Palazzo di vetro di New York si rinnoverà l’appello al mondo intero per il riconoscimento del diritto di autodeterminazione, di indipendenza, di sovranità nazionale e del diritto al ritorno di quei palestinesi che da oltre tre generazioni rimangono nel limbo dei campi profughi senza cittadinanza né patria. Diritti che non cadono in prescrizione, perché considerati diritti umani fondamentali dal sistema delle Nazioni Unite, a cui aderiscono tutti gli Stati riconosciuti dalla comunità internazionale e che quindi sono tenuti a rispettare, promuovere, proteggere e applicare, adoperandosi anche per la soluzione dei conflitti.

Purtroppo il multilateralismo, nato dopo i disastri e le tragedie delle due grandi guerre del Novecento, è ancora troppo debole e privo degli strumenti politici, economici e diplomatici necessari per far prevalere il diritto e la giustizia contro le aggressioni e la giustizia “fai da te” degli Stati nazionali, e il caso del conflitto tra Israele e la popolazione palestinese ne è la drammatica e crudele rappresentazione.

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 Il 29 novembre, ancora una volta, ascolteremo l’appello delle istituzioni internazionali e di molti capi di governo che invocheranno la soluzione dei “due Stati per i due popoli”, incardinata dal 1947 a oggi nelle decine di risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea, ma che non trova ancora la sua conseguente applicazione con il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte degli stessi che la evocano come unica soluzione.

Nel frattempo l’occupazione militare e civile israeliana dei territori palestinesi erode, giorno dopo giorno, le condizioni per la costruzione di uno Stato palestinese sovrano, indipendente, con continuità territoriale. Come tende a distruggere la resilienza della comunità palestinese rendendo impossibile la vita con leggi palesemente discriminatorie, impedendo la libera circolazione delle persone, confiscando terreni palestinesi per costruire insediamenti di coloni ebrei, espropriando terreni agricoli e sradicando ulivi secolari, espellendo la popolazione palestinese da Gerusalemme. Oltre a isolare sempre più le due popolazioni con muri e strade a circolazione esclusiva per i coloni.

Il risultato è cronaca nota; dalla diffusione della violenza quotidiana, agli attentati, alla profanazione dei luoghi sacri, dal lancio dei razzi alle incursioni militari sproporzionate, dagli arresti alle detenzioni amministrative di attivisti e minori senza processi.

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 Le due società potranno vivere in pace solamente con il riconoscimento reciproco di esistere e con la fine dell’occupazione. Ma, nel frattempo, resta la grande responsabilità della comunità internazionale, che tace e, tacendo, asseconda i governi israeliani di turno nel loro esercitare una politica di occupazione dei territori palestinesi in violazione del diritto internazionale e delle risoluzioni delle Nazioni Unite. Invece dovrebbe passare dalle dichiarazioni al riconoscimento effettivo dello Stato di Palestina, ponendo così fine alla politica di occupazione de facto, rimettendo così la storia sul binario giusto del diritto, imponendo la soluzione politica e negoziale tra due parti, finalmente con pari legittimità e status, anche se una, Israele con il 78% del territorio, e l’altra lo Stato di Palestina con il rimanente 22%. 

Per queste ragioni, Cgil, Cisl e Uil, insieme alla coalizione AssisiPaceGiusta, partecipano all’iniziativa co-promossa dalla campagna europea per il riconoscimento dello Stato di Palestina e dai parlamentari europei, per chiedere ancora una volta ai governi degli Stati membri dell’Unione europea di riconoscere lo Stato di Palestina, condizione indispensabile per riprendere la strada della pace giusta e della convivenza tra le due comunità.

Sergio Bassoli, Area internazionale Cgil