Dall’ultima aggressione è passata ormai qualche settimana. I pescatori italiani nel Mar Mediterraneo sono a rischio. Oltre ai pericoli del mestiere ce n’è un altro che viene dalla Libia e viaggia sulle motovedette della guardia costiera di Tripoli. Lo sanno bene gli equipaggi dei due pescherecci che a settembre dello scorso anno finirono sequestrati per oltre cento giorni. Poi a maggio, invece, l’Aliseo è finito sotto gli spari delle mitragliatrici con il comandante leggermente ferito, salvo solo per caso perché quei colpi avrebbero potuto ucciderlo.

E’ per questo che la Flai Cgil, insieme a Fai Cisl e Uila Uilha lanciato una petizione che nel giro di due settimane ha raggiunto oltre 11.000 sottoscrizioni.  Un appello diretto al governo italiano perché intervenga a “chiarire, una volta per tutte, i motivi per i quali i pescherecci italiani, mentre esercitano la loro attività lavorativa nelle acque del canale di Sicilia, sono vittime di azioni di pirateria compiute da militari libici” e a “individuare e mettere in atto tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza e il rispetto dei diritti umani per i pescatori italiani che operano nel canale di Sicilia e assicurare loro la possibilità di continuare a pescare in quelle acque”.

Un ottimo risultato – commenta Antonio Pucillo, responsabile del settore pesca per la Flai Cgil, che ricorda come, parallelamente alla petizione online, ne corra anche una cartacea che sta andando avanti nelle Camere del lavoro.

“Credo sia fin troppo noto quello che accade in quel trattato di mare. - spiega Pucillo – A noi non interessa il rimpallo delle responsabilità ma la sicurezza dei pescatori. Si tratta di un mestiere già di per sé rischioso: lo scorso anno abbiamo avuto 6 incidenti mortali su circa 25mila addetti. Un morto ad Anzio, 4 in Sicilia, un altro in Sardegna. Se a questo aggiungiamo che ora bisogna pescare con il giubbotto antiproiettile diventa davvero impossibile”.

Il tema è quello dibattuto delle acque territoriali e affonda le radici negli anni Settanta quando Gheddafi chiuse un tratto di Mar Mediterraneo definendolo zona economica esclusiva. “Ma proprio quel tratto di mare che la Libia vuole tenere per sé è ambito da imbarcazioni di tutto il Mediterraneo: lì si pesca il gambero di profondità, una risorsa di pregio. Vanno affrontati il problema economico e, insieme, quello politico” prosegue il sindacalista.

Una delle domande a cui rispondere è se in quell’area sia effettivamente possibile la presenza di una zona economica esclusiva. “L’attività per le imbarcazioni italiane attrezzate per quel tipo di pesca è già ridotta ai minimi termini, va tutelata. Non solo: se i pescatori vengono sequestrati e inseguiti ben oltre il limite delle 12 miglia delle acque territoriali è evidente – secondo Pucillo – che c’è una forma di ricatto di altra natura. La marineria di Mazara del Vallo è molto preoccupata. Il rischio concreto è che tanti abbandonino questo lavoro. La redditività è già scemata a causa delle restrizioni su sforzo di pesca e giornate, adesso con l’ostilità della guardia costiera libica e i sequestri passati dall’essere lampo a lunghissimi, per un lavoratore non ha davvero senso rischiare la vita in questo modo”.

Il problema, però, è che finora dal governo risposte non sono arrivate. I sindacati hanno chiesto alla politica e al ministro Di Maio di intervenire ma finora di tutto si è parlato tranne che di questa situazione paradossale che ha visto in 25 anni oltre una cinquantina di imbarcazioni sequestrate e l’arresto di decine di pescatori italiani.