La sagoma oscura del presidente sconfitto scava lo spazio intorno a sé, si mostra in controluce sotto il colonnato della Casa bianca, proteso, eccede nella posa del dominio, segno della ritorsione contro l'intruso etnicamente impuro. La dismisura dei capelli gialli e posticci segnala l'appartenenza allo spirito originario, al colore nordico dei coloni conquistatori che costruirono i villaggi, annientarono i nativi, fondarono la nazione.

Trump è lo specchio di quei coltivatori di mais descritti dal cineasta Frederick Wiseman in Monrovia, Indiana, cittadina rurale della Corn Belt che alterna shopping di Winchester, aste di trebbiatrici e fiere di pasta fritta. Radiografia del Midwest, 90% di bianchi, assenti o quasi afroamericani e nativi. Faith, Family, Country. “Città pro-gun e pro-God che ci offre una visione storica di come si vive nell'America di Trump” (Rolling Stone). Un'America nata molto prima di lui, quando il trascendentalismo di Ralph W. Emerson consegnò agli ex sudditi di sua maestà l'orgoglio di una cultura propria, declinata nella relazione speciale, e malintesa, con la Natura. Trump è l'interprete del robusto colono che si crede autorizzato al saccheggio, mitra a tracolla, sprezzante della civiltà, dalla Est alla West Coast, rappresentante della vera America. Un'immagine delle origini che copre il neo-liberista avido, erede della genia dei J.P. Morgan, il magnate che fondò la sua fortuna sulla vendita di fucili difettosi durante la guerra civile. Let's Make America Great Again, da Reagan a oggi.

Quale potente simbolo avverso poteva infrangere la figura dello stereotipo vincente? E smascherare l'un-american violatore dei principi costitutivi della nazione, il presidente che ha svenduto l'individualismo democratico per il populismo, i diritti di cittadini e dreamers per soddisfare le pulsioni più feroci e tetre.

La risposta è venuta dal basso, dal volto schiacciato sul marciapiede di George Floyd. Il suo spettro leggendario è apparso in dissolvenza sul corpo di Joe Biden e si è fuso con la perfetta icona della riscossa americana, Kamala Harris, espressione dell'America di Mark Twain e di John Steinbeck. Quella di Henry D. Thoreau e del suo Rinascimento a favore di una disubbidienza civile inversa a quella dei Proud Boys, in difesa del bianco John Brown, impiccato per insubordinazione contro lo stato. Individualista fuorilegge, si era battuto per l'abolizione della schiavitù. Segnaletiche di una memoria perduta, ma ritrovata nello scenario di una battaglia impalpabile e materica,“Voto per salvarmi la vita”.

I suprematisti bianchi, i no-mask, i complottisti armati, contraffanno lo spirito della nazione. Decostruirne il mito. Il dio nero ha sconfitto il diavolo biondo, ma ci è voluto il grido indignato di un'ondata multicolore di americani, e l'ultimo respiro di un uomo.

Mariuccia Ciotta è giornalista e scrittrice, è stata direttrice del Manifesto