Il presidente del governo spagnolo Pedro Sánchez, presentando il decreto economico per ridurre l’impatto dell’epidemia da Covid-19 su famiglie, lavoro e imprese, ha detto che “bisogna combattere sul fronte sanitario, ma anche frenare la curva discendente dell’occupazione e della produzione”. Perciò, ha fatto sapere in sede parlamentare, la prossima sarà una finanziaria di ricostruzione sociale ed economica. Nel frattempo, il piano del governo è di 200 miliardi di euro, di cui 117 provenienti dal pubblico e i rimanenti 83 dal settore privato. La quota pubblica consiste per 100 miliardi nell’apertura di una linea di credito di cui lo Stato si fa garante, al fine di assicurare la liquidità delle imprese; mentre il bilancio pubblico si farà carico di 17 miliardi.

Per quanto riguarda le famiglie in condizioni di vulnerabilità, sarà garantito a tutte l’approvigionamento dei servizi energetici di base; come pure viene decisa una moratoria nel pagamento delle rate dei mutui. Uno stanziamento di 600 milioni sarà destinato alle Comunità autonome e agli enti locali per consentire le prestazioni di base. Il vicepresidente del governo per i Diritti sociali, Pablo Iglesias, ha parlato di “scudo sociale” in riferimento a questi interventi. Perché, dice il fondatore di Podemos (che nacque contro la gestione della crisi economica del 2008 e si trova ora dal governo a gestirne un’altra dalle conseguenze potenzialmente peggiori), bisogna apprendere dagli errori del 2008 e garantire che la gente affronti questa crisi con la massima sicurezza. Dei 600 milioni stanziati, 300 andranno a finanziare un fondo sociale straordinario che sarà dedicato a: l’assistenza domiciliare per le persone anziane e non autosufficienti, il rafforzamento delle piante organiche delle residenze per anziani con l’inserimento di personale sanitario e l’assistenza ai senza tetto (con l’abilitazione di mense sociali, la presenza di personale sanitario nei centri di accoglienza e l’abilitazione di spazi per l’alloggiamento).

Una delle richieste avanzate dalle Comisiones Obreras, il principale sindacato confederale spagnolo, riguarda il tema degli affitti e in particolare il rischio sfratti. Per il sindacato va riconosciuta non solo la moratoria del pagamento del canone mensile, ma anche una compensazione ai proprietari degli immobili, perché non tutti sono fondi d’investimento. Altro tema sensibile è quello del divario digitale, per cui non si hanno pari condizioni nell’istruzione. Secondo dati dell’Istituto nazionale di statistica del 2018, infatti, una famiglia su dieci non dispone di internet in casa e il 20 per cento non ha neppure un computer.

Il secondo capitolo del decreto economico riguarda il sostegno al lavoro e alle imprese per evitare i licenziamenti. I lavoratori potranno avere flessibilità oraria col ricorso al telelavoro. E, nel caso di sospensione temporanea del contratto, avranno diritto alla prestazione per disoccupazione anche senza il requisito contributivo; in questa fattispecie le imprese verranno esonerate dal pagamento degli oneri sociali. Si tratta di un istituto simile alla cassa integrazione (Espediente de Regulación Temporal de Empleo, Erte). Come ci spiega il segretario generale di Ccco de Catalunya, Javier Pacheco, “Con gli Ertes vengono tolte le limitazioni di accesso alla prestazione, prevedendo il rientro del lavoratore in azienda come se non avesse consumato giorni. Quello che noi chiediamo, però, è che le imprese aggiungano del salario per compensare l’indennità, perché la prestazione di disoccupazione è minore”. Per quanto riguarda gli autonomi, il decreto prevede un' indennità per cessazione dell’attività in caso di minori entrate. Secondo Pacheco, invece, andrebbero garantire entrate almeno pari al reddito minimo interprofessionale: “Si tratta di misure imprescindibili e necessarie tanto sul piano del lavoro che su quello sociale, anche per assicurare la liquidità alle imprese. Manca la protezione per alcuni e confidiamo che con le risorse che vengono dall’Europa, il governo centrale e quello catalano possano fare di più”, aggiunge il dirigente sindacale.

Oltre agli autonomi e agli affittuari in difficoltà, ci sono altri casi che andrebbero considerati, come “tutta quella gente che sta fuori dalla Sicurezza sociale: è il caso dei lavoratori domestici, di quelli delle consegne a domicilio, di alcuni del settore agricolo rimasti senza prestazioni e senza salario. La maggioranza sono donne, lavorano in condizioni molto precarie e hanno bisogno di una copertura. Ci sono perciò ancora alcune misure da realizzare e credo che questo non si debba fare solo con risorse pubbliche. Molte imprese con profitti devono responsabilizzarsi, soprattutto il settore finanziario, che non può solo domandare garanzie per l’accesso al credito, ma deve contribuire a fornire liquidità alle imprese e ai lavoratori”.

Le imprese che più stanno patendo la crisi sono quelle del turismo, del settore alberghiero e della ristorazione, perché sono stati chiusi, come tutti gli esercizi pubblici vincolati al commercio esclusi gli alimentari. “Nel settore industriale si sta chiudendo la catena dell’approvigionamento, il settore dell’auto è penalizzato – prosegue Pacheco nel suo ragionamento –. In Catalogna, il maggior numero di lavoratori è nel settore dei servizi, saranno interessati dalla crisi più di 200 mila persone, in parte direttamente licenziati. Anche il settore automobilistico è molto colpito. Per fortuna c’è stata una misura che si sta implementando nelle gran parte delle amministrazioni pubbliche che mantiene i contratti di tutte le aziende che prestano servizi all’amministrazione e questo riduce l’impatto. Ma, in totale, circa 500 mila lavoratori potrebbero vedersi colpiti sul piano dell’occupazione e dover accedere a un Erte”.