L'emergenza Coronavirus è ormai globale e l'Europa sembra finalmente averne preso coscienza. Le misure annunciate venerdì dalla Commissione Ue e quelle allo studio in questi giorni della Bce danno la misura di un impegno straordinario che le istituzioni comunitarie intendono mettere in campo. Ma è sull'effettiva applicazione di queste misure di carattere espansivo da parte dei governi che si giocherà davvero la partita e tra i soggetti che stanno vigilando e al tempo stesso spingendo per garantire una forte azione comune a livello europeo c'è la Ces, la Confederazione europea dei sindacati, che proprio oggi, 16 marzo, ha siglato un avviso comune con le associazioni datoriali per chiedere all'Europa “responsabilità, solidarietà, ed efficienza” nell'affrontare questa situazione senza precedenti. Ne abbiamo parlato con Luca Visentini, segretario generale della Ces, raggiunto via Skype nella sede del sindacato europeo a Bruxelles, dove è stata allestita una vera e propria “unità di crisi sindacale”.

Rassegna Innanzitutto, segretario, com'è la situazione lì da voi? A che livello di restrizioni siete arrivati?

Visentini Qui in Belgio non siamo ancora ai livelli dell'Italia, ma ci stiamo arrivando. Sono chiusi tutti i ristoranti, i bar e i luoghi di aggregazione pubblica. I negozi sono aperti, ma si entra pochi alla volta. Le scuole sono ferme, ma restano aperte per assistere i genitori che non possono tenere i propri figli. I trasporti sono ancora operativi, almeno fino ad oggi. Mentre per i lavoratori, laddove possibile, si utilizza il telelavoro, che è anche quello che stiamo facendo noi in Ces, cercando di dare la massima assistenza ai nostri affiliati nei vari paesi.

Rassegna Qual è il quadro europeo per quanto riguarda il lavoro e l'azione delle parti sociali?

Visentini In molti paesi sono stati sottoscritti o sono in fase di sottoscrizione accordi tripartiti, sindacati, imprese, governi, che puntano a sostenere imprese e lavoratori. L'Italia ha fatto da apripista, ma in molti stanno seguendo quell'esempio. Nel weekend c'è stato l'accordo in Austria, poi in Spagna e in Danimarca e altri paesi stanno negoziando, come Svezia, Finlandia, Belgio, Paesi Bassi, Portogallo e anche alcuni Stati dell'Est. L'obiettivo primario è garantire un reddito a tutte le persone che hanno dovuto sospendere il proprio lavoro e non parliamo di sussidi di disoccupazione, ma di reddito, perché l'obiettivo deve essere quello di mantenere i posti di lavoro e quindi di evitare assolutamente i licenziamenti.

Rassegna È chiaro però che per fare questo servono molte risorse economiche, l'Europa farà la sua parte?

Visentini La Commissione ha diramato una comunicazione venerdì nella quale prevede accesso al credito e sostegno finanziario per le imprese, soprattutto quelle piccole, ma dall'altra parte anche circa 40 miliardi di risorse europee non spese dell'attuale budget comunitario, da rimettere in circolo per finanziare sia i sussidi di disoccupazione, ma soprattutto sistemi come la nostra cassa integrazione, ponendosi anche il problema di come estendere queste misure ai lavoratori atipici, che non hanno attualmente accesso.

Rassegna Proprio oggi su questi temi avete siglato un documento comune con le rappresentanze europee delle imprese. Qual è l'obiettivo?

Visentini Sì, abbiamo avuto un lungo negoziato nella notte di domenica che si è concluso stamattina con la sottoscrizione di questo accordo con gli imprenditori europei che è indirizzato in primo luogo all'Eurogruppo e all''Ecofin che si riuniranno nei prossimi giorni e che dovranno approvare le misure diramate venerdì dalla Commissione. Perché senza l'ok dei ministri delle Finanze, spesso recalcitranti a mettere in atto misure di solidarietà, le buone intenzioni della Commissione resterebbero sulla carta. Il senso quindi è di fare pressione, insieme agli imprenditori, sui governi e sui ministri affinché tutti adottino misure omogenee e coordinate. Per quanto ci riguarda, mercoledì avvieremo il negoziato con la Commissione sull'implementazione delle misure annunciate.

Rassegna Senta Visentini, in conclusione, forse c'è un aspetto “positivo” in questa situazione così drammatica: l'emergenza Coronavirus ha smascherato in maniera incontrovertibile i danni che le politiche di austerità e i tagli al welfare-state, sanità compresa, hanno prodotto dal 2008 in poi. Crede che questa potrebbe essere davvero la “volta buona” per cambiare direzione?

Visentini Noi speriamo di sì. Abbiamo denunciato per più di un decennio quelle politiche disastrose di cui oggi purtroppo vediamo i risultati. Ora la Commissione ha autorizzato il massimo livello di flessibilità nel Patto di stabilità, il livello 3, che permette agli Stati membri di spendere tutto quello che è necessario per far fronte all'emergenza, ma è chiaro che questo nel lungo periodo potrebbe creare problemi. L'Italia, ad esempio, ha deciso giustamente di spendere 25 miliardi a sostegno di lavoratori, imprese e del sistema sanitario, ma questi si trasformeranno in debito se non ci sarà anche un rilassamento delle politiche fiscali in materia di spread, tassi d'interesse e congelamento del debito. Siccome abbiamo tastato con mano i danni ingenti che le politiche di austerità hanno prodotto, dobbiamo evitare stavolta di ripetere gli stessi errori, perseverando con politiche che anziché curare il malato finiscono in realtà per ucciderlo.