La chiusura dei negozi in Italia ha raggiunto proporzioni drammatiche: l’anno scorso hanno serrato per sempre i battenti 61 mila attività commerciali. E per ogni nuova apertura ci sono state quasi tre chiusure, il peggior rapporto degli ultimi dieci anni. I dati di Confesercenti dipingono un quadro allarmante.

118 mila negozi spariti

Non sono migliori le statistiche di Confcommercio: in 12 anni, tra il 2012 e il 2024, in Italia sono spariti quasi 118 mila negozi al dettaglio e 23 mila attività di commercio ambulante. Un trend più visibile nei centri storici, al Centro-Nord e nel Mezzogiorno. Nonostante le evidenze, il governo continua a festeggiare trionfi: l’economia “sta sostanzialmente dimostrando la sua solidità e la sua resilienza”, ha dichiarato un mese fa in conferenza stampa la presidente del Consiglio Meloni.

Commercio travolto dalla crisi

“Il commercio sta sprofondando, travolto da una crisi industriale che dura da ventotto mesi e da una perdita di potere d’acquisto che ha svuotato portafogli e carrelli della spesa - affermanoil segretario confederale della Cgil Pino Gesmundo e il segretario generale della Filcams Cgil Fabrizio Russo -. La verità è semplice e scomoda: la crisi industriale è diventata crisi sociale e sta colpendo duramente anche il settore del commercio, della distribuzione e dei servizi. E il governo è occupato a cantare vittoria, a cercare nuovi slogan, a parlare di ‘fiducia’, ‘resilienza’, ‘rimbalzo’. Rimbalzo sì, ma verso il basso”.

Oltre 30 mila a rischio 

In che cosa si traduce questa crisi? In posti di lavoro che vanno in fumo, lavoratori che rimangono a casa. Oltre 30 mila a rischio per la precisione, secondo i calcoli del sindacato. “Donne, in gran parte – aggiungono Gesmundo e Russo -, impiegate in un settore già fragile, caratterizzato da realtà frammentate e part time involontario, che non può assorbire nuovi esuberi e che non riceve alcuna attenzione dalle Istituzioni”.

Coin, Carrefour e altri

Coin, Carrefour, Conbipel, Original Marines, Logitech/Teknoservice, solo per citare alcuni brand in grande affanno. Per Coin, attualmente oltre 1.300 lavoratori in prevalenza donne, che ha annunciato la chiusura di diversi punti vendita, è in corso un tavolo al ministero delle Imprese e del made in Italy per la crisi finanziaria che ha portato all’attivazione della procedura di composizione negoziata.

Dopo che Carrefour ha annunciato di voler lasciare l’Italia, NewPrinces Group ha sottoscritto un accordo vincolante per l’acquisizione, ma sui termini dell’operazione non ci sono certezze e il piano di rilancio e organizzazione non è chiaro. Al Mimit i sindacati Filcams, Fisascat e Uiltucs hanno sottolineato l’importanza di avere tutte le informazioni: sono coinvolti circa 24 mila dipendenti tra diretti, in franchising ed in appalto, che lavorano nei minimarket, nei supermercati, negli ipermercati oltre a negozi cash&carry, sedi e logistica.

Comparto principale

Quello del commercio è uno dei comparti principali su cui si basa l’economia del nostro Paese - aggiungono Gesmundo e Russo -. Basti pensare che da solo rappresenta milioni di posti di lavoro, soprattutto donne e giovani che troppo spesso operano in condizioni di fragilità e invisibilità. Il governo finge di non vedere, ma il disagio cresce. Le crisi aziendali si moltiplicano e la risposta istituzionale è il nulla”.

Riduzione degli acquisti 

Il contraltare di questa crisi lo troviamo nel volume delle vendite al dettaglio: al netto dell'inflazione, è calato di 8,5 miliardi complessivi rispetto allo stesso periodo del 2024. È come se le famiglie italiane avessero tagliato acquisti per quell’ammontare. Non solo. I sensibili rialzi dei prezzi dei prodotti alimentari di largo consumo registrano in alcuni casi un’inflazione a due cifre, che costringe i consumatori a cambiare abitudini e ridurre gli acquisti: basti pensare che a giugno 2025, a fronte di un calo annuo dei volumi del meno 0,3 per cento, il valore delle vendite alimentari si è impennato del più 2,8.

“Le famiglie sono ancora in una situazione precaria, che le costringe a un numero crescente di rinunce e sacrifici – affermano da Federconsumatori -. Riducono il consumo di carne e pesce, tagliano i consumi di frutta e verdura, ricercano sempre più assiduamente offerte, sconti, acquisti di prodotti prossimi alla scadenza, si rivolgono più di frequente ai discount “.

Dove sono le politiche di settore?

“Servono specifiche politiche di settore e misure concrete contro la precarietà e il lavoro povero – concludono Gesmundo e Russo -. Il lavoro nel commercio e nel terziario ha bisogno di progettualità a medio lungo termine e investimenti mirati, che portino a sviluppo concreto, tutele e rispetto per i milioni di occupati. Occorrono politiche industriali serie, investimenti in innovazione, un piano straordinario per il lavoro, un sostegno reale ai salari e un rafforzamento del welfare. Non bastano bonus spot e conferenze stampa autocelebrative”.